Quanto è alto il rischio di fare informazione nelle cosiddette “ zone calde”? Molto, lo dimostrano le storie di Ali Mustafa e Nils Horner, due giornalisti che hanno perso la vita mentre svolgevano il loro lavoro.
Ali Mustafa, 29 anni, freelance canadese di origini portoghesi e pachistane, ha perso la vita pochi giorni fa ad Aleppo, nel nord della Siria. Ad ucciderlo è stata una bomba-barile che ha provocato altri 14 morti e numerosi feriti. La morte di Mustafa si aggiunge a quella di altri 27 giornalisti che sono rimasti vittime in Siria, mentre cercavano di raccontare la guerra civile.
Si chiamava Nils Horner e aveva 51 anni, il giornalista svedese che è stato invece ucciso in pieno giorno con un colpo di pistola alla testa a Kabul, Afghanistan. Un testimone ha dichiarato di aver sentito un colpo e di aver visto due persone fuggire subito dopo.
Ieri, sull’istmo che separa la Crimea dall’Ucraina sono stati rapiti la giornalista ucraina Olena Maksymenko ed il suo collega ucraino Oles Kromplyas. Il segretario generale di Reporter Senza Frontiere, Cristophe Deloire, ha manifestato una profonda preoccupazione a causa della “ continua escalation delle violazioni dei giornalisti in Crimea che sta diventando una regione senza regole controllata da bande armate il cui anonimato rafforza la loro impunità”.
Questi, solo alcuni nomi, ad evidenziare una situazione sempre più preoccupante se si tiene conto che solo nel 2013 nel mondo sono stati rapiti almeno 87 giornalisti e ne sono morti quasi 70. Secondo il “Commitee to protect journalist”, un’associazione che si occupa di monitorare la libertà di stampa, almeno due terzi di essi hanno perso la vita di Medio Oriente.
A pochi mesi dall’inizio del 2014 la situazione non sembra migliorare.
Cecilia Greco
