Il pittore Mario Sironi, caduta la Repubblica di Salò della quale era stato sostenitore, tentò la fuga verso la Svizzera. Prima di arrivare alla frontiera venne però fermato da una brigata partigiana e rischiò di essere passato per le armi. La vita gli fu risparmiata solo grazie alla clemenza di un giovane comandante che lo aveva riconosciuto. Il suo nome era Gianni Rodari. Questo è uno degli aneddoti raccolti da Aldo Cazzullo per raccontare la Resistenza nel libro “Possa il mio sangue servire”, presentato ieri nella giornata inaugurale del Festival del Giornalismo di Perugia.
Tra i personaggi che compaiono in questa raccolta, densa i documenti, c’è Suor Enrichetta Alfieri, beatificata pochi anni fa, il cui ricordo è affidato a poche riconoscenti parole scritte rispettivamente da Indro Montanelli e Mike Buongiorno. Entrambi ebbero la fortuna di essere soccorsi dalla religiosa, che aiutò le loro famiglie. La gran parte dei racconti proposti da Cazzullo, comunque, non si riferisce a personaggi famosi, e non ha neanche un lieto fine. “Possa il mio sangue servire”, attraverso le missive dei partigiani che non sopravvissero alla guerra, racconta le storie di uomini e donne che sacrificarono la loro vita nella certezza che dal loro gesto “sarebbe uscita un’Italia migliore”, come dice Franco Balbis nella sua lettera di commiato prima della fucilazione. A partire dall’esempio di persone che salirono volontariamente sul patibolo durante la seconda guerra mondiale, mosse da un altruismo e un senso civile che sarebbe riduttivo definire patriottismo, l’autore traccia una linea sottile che arriva fino all’Italia dei nostri giorni. Gli eroi che racconta Cazzullo diventano quindi un modello per affrontare un’altra guerra, conclude l’autore, “contro la crisi e la corruzione, per salvare un’Italia nella quale i morti della Resistenza non si riconoscerebbero”.
Raffaele Sardella