Sono due le vicende che in queste ore stanno mettendo a dura prova la tenuta del governo delle larghe intese: l’affaire kazako e l’insulto del vicepresidente del Senato Roberto Calderoli al ministro Kyenge. Andiamo per ordine. Il titolare del Viminale è il principale “imputato” politico per l’espatrio fulmineo di Alma Shalabayeva e Alua, moglie e figlia (6 anni) del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov. Un espatrio, secondo le prime ricostruzioni dell’accaduto, che getta pesanti ombre sulle reali ragioni dell’espulsione lampo e sul rispetto o meno delle procedure. Per usare le parole del legale di Alma Shalabayeva, Riccardo Olivo, si dovrà appurare se sono stati violati i diritti umani della moglie e della figlia di Ablyazov.Le due mozioni di sfiducia presentate da Sel e Movimento 5 Stelle puntano il dito contro il titolare del Viminale. Ma Alfano ha già risposto che le responsabilità saranno accertate attraverso l’indagine interna sull’accaduto svolta dal Capo della Polizia Pansa, che ora è al vaglio del ministro. Nel merito, Alfano ha tenuto il massimo riserbo, in attesa di andare a riferire in Parlamento giovedì prossimo, dopo aver dato l’impressione di essere all’oscuro di tutto al momento dello scoppio dello scandalo.
“Non poteva non sapere”. Il governo, insomma, vuole vederci chiaro prima di esprimersi. Lo stesso presidente del Consiglio Enrico Letta ha assicurato che “qualcuno pagherà”. Ma chi, è ancora presto per dirlo. Le poltrone che traballano in queste ore sono molte. In primis, quella del prefetto Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del Ministro dell’Interno dal 2008. Lui avrebbe ricevuto l’ambasciatore kazako Andrian Yelemessov (per conto del presidente del Kazakistan Nursultan Nazarbayev) che aveva richiesto l’arresto del dissidente Ablyazov. Fu proprio lui a indirizzare l’ambasciatore verso il responsabile della segreteria del Capo della Polizia, il prefetto Alessandro Valeri. Valeri, insieme al Questore di Roma Fulvio Della Rocca, avrebbe poi pianificato le mosse ulteriori per procedere all’espulsione di Shabalayeva e figlia dall’Italia. L’interrogativo però resta: Procaccini informò Alfano sulla richiesta mossa dal diplomatico kazako? Il ministro nega, ma tanti sono dell’idea che Alfano non poteva non sapere. I diplomatici kazaki si recano al Viminale, la polizia organizza ed esegue il blitz in cui si muovono una quarantina di agenti, la moglie di Ablyazov viene prima trasferita nel Cie di Ponte Galeria e poi espulsa: tutto in 48 ore, tra il 29 e il 31 maggio. Anche l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, l’uomo che “a sua insaputa” aveva acquistato un appartamento a due passi dal Colosseo, è di questa opinione. In un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano, ha dichiarato che Alfano o sapeva e ha agito male, oppure non sapeva e non controlla il ministero: “Non ci sono spiegazioni alternative”.
Intanto il Capo della Polizia Pansa ieri ha sentito anche il Questore Della Rocca e il capo dell’Ufficio Immigrazione Maurizio Improta. La domanda è: i capi dei diversi uffici della Questura coinvolti, potevano disattendere ordini che arrivavano direttamente dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza? Nell’aggrovigliato intreccio di responsabilità e negligenze, tra i più a rischio, oltre Procaccini ci sono il segretario del dipartimento di sicurezza, Alessandro Valeri e il capo della polizia pro tempore, Alessandro Marangoni.
Gli accertamenti non eseguiti. Di certo qualcosa è andato storto nella verifica dell’identità di Alma Shabalayeva. Ieri è spuntata fuori una nota trasmessa dall’ambasciata kazaka alla questura di Roma che alimenta ulteriori dubbi sulla versione ufficiale. In quel documento la donna viene infatti indicata con il suo nome da sposata e non con quello da nubile (Alma Ayan) che invece era sul passaporto esibito ai poliziotti al momento del blitz, poi ritenuto erroneamente falso. Perché, di fronte a questa discordanza, i vertici della questura hanno richiesto alla Farnesina degli accertamenti solo sul nome da nubile della donna (quindi non direttamente collegabile al dissidente kazako Ablyazov, come attestato dal Ministero degli Esteri che in una nota ha affermato di non avere “alcuna competenza in materia di espulsione di cittadini stranieri, né accesso ai dati” su persone che abbiano ricevuto lo status di rifugiato politico in Paesi terzi)? Quello che resta sono le congratulazioni inviate via fax il 31 maggio dall’ambasciata kazaka all’ufficio immigrazione per il successo e la rapidità dell’espulsione.
Le scuse di Calderoli. L’altra vicenda che tiene in apprensione il governo delle larghe intese è il caso Kyenge. Il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli ha fatto sapere che non si dimetterà dopo essere stato raggiunto da una pioggia di critiche per le sue esternazioni offensive sul ministro dell’Integrazione. Ma questa mattina ha chiesto ufficialmente scusa in Senato. Tuttavia, la Lega ha rilanciato la sua battaglia contro l’immigrazione clandestina mettendo in programma una manifestazione nazionale il 7 settembre a Torino. Ha tutta l’aria di essere una sfida a Enrico Letta, che aveva chiesto una soluzione rapida della vicenda, l’esito del vertice della segreteria politica di via Bellerio di ieri. Il giorno dopo le offese del vicepresidente del Senato al ministro per l’Integrazione, Cecile Kyenge, paragonata da Calderoli “a un orango”, il clima si fa ancora quindi più rovente. Il diretto interessato spera così, con le scuse di oggi, di smorzare le polemiche. Ieri c’era stata già un’ammissione di colpa da parte leghista: “Calderoli ha sbagliato.La Lega contrasta le proposte che non condivide, ma non si devono mai insultare le persone”, ha dichiarato Roberto Maroni dopo la riunione del pomeriggio. Il presidente della Camera Laura Boldrini è ritornata sulla vicenda attaccando duramente Calderoli: le sue parole “manifestano un’arretratezza insopportabile”, ma “nessuno può rimuoverlo, può essere solo una sua scelta”. Anche dal Pdl sono arrivate le critiche all’esponente della Lega Nord: Carfagna e Brunetta dicono “basta agli insulti razzisti”, lasciando però “alla sua coscienza” l’ipotesi di dimissioni da vicepresidente di Palazzo Madama. Per il governatore della Lombardia Maroni però è ora di smettere di “alimentare polemiche e strumentalizzazioni utili forse a coprire il rumore di altre questioni”. Il riferimento è ancora una volta all’affaire kazako, sul quale i leghisti promettono battaglia.
Claudio Paudice