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Affaire kazako, Alfano si assolve: “Non sapevo”. Ma il capo di gabinetto Procaccini smentisce e si dimette

di Claudio Paudice17 Luglio 2013
17 Luglio 2013

E’ uno spaccato inquietante, fatto di negligenze, contraddizioni e di “mancanza di comunicazione ascendente”, quello che emerge dalla relazione stilata dal Capo della Polizia Alessandro Pansa, incaricato di indagare sull’espulsione lampo di Alma Shalabayeva e Alua, moglie e figlia di sei anni del dissidente kazako Muhktar Ablyazov, avvenuta il 31 maggio scorso. Il vicepremier e ministro dell’Interno Angelino Alfano si è autoassolto dicendo che tutto, dai blitz nella villa di Casal Palocco (dove risiedeva, secondo i diplomatici kazaki, Ablyazov), al fermo delle due donne fino al loro espatrio avvenuto su un volo privato noleggiato dall’ambasciata kazaka, è avvenuto a sua insaputa. Il dossier “Pansa”, che ieri Alfano ha letto nelle aule del Parlamento, attribuisce le “mancanze” ai funzionari del Viminale e agli uffici locali. In primis a Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del Viminale che ieri, giocando d’anticipo, ha ufficializzato le sue dimissioni. Ma la sua non dovrebbe essere l’unica testa a saltare nell’affaire kazako. Alfano ha infatti chiesto “l’avvicendamento alla guida della segreteria del Dipartimento di Pubblica Sicurezza”, ruolo ricoperto dal prefetto Alessandro Valeri, e una “riorganizzazione generale” dell’Ufficio Immigrazione.

Ma la relazione del Capo della Polizia non scioglie tutti i nodi della vicenda, tutt’altro.

Prima contraddizione. Nella ricostruzione di Pansa, la mattina del 28 maggio “il ministro è stato cercato dall’ambasciatore Yelemessov, cui non ha risposto e ha fatto incontrare lo stesso con il suo capo di gabinetto” Procaccini. Un incontro avvenuto la sera del 28 e di cui, come racconta lo stesso Procaccini a diversi organi di stampa, riferì ad Alfano la mattina del 29 maggio. “Il ministro Alfano – dichiara a Repubblica l’ex capo di gabinetto – mi chiese di ricevere il diplomatico. Ero stato informato che l’ambasciatore doveva riferirmi di una questione molto delicata”. Di tutto questo però il titolare del Viminale dice di essere all’oscuro. “Sono qui – ha detto ieri Alfano in Parlamento – per riferire di una vicenda della quale non ero stato informato, non era stato informato nessun altro collega del governo, né il presidente del Consiglio. In nessuna fase della vicenda i funzionari italiani hanno avuto informazione alcuna che Ablyazov fosse un rifugiato politico e non un pericoloso latitante ricercato in più Paesi per reati comuni”.

Seconda contraddizione. Un latitante ricercato: da qui emerge un’altra falla negli accertamenti del Viminale. Nessuno, dal Viminale alla Questura, dall’Intelligence alla Criminalpol fino all’Ufficio Immigrazione sapeva chi fosse Ablyazov. Nessuno, nemmeno attraverso una semplice ricerca su internet, si è premurato di appurare chi fosse realmente quel ricercato, ma si è data piena fiducia alle informazioni che venivano dalla diplomazia kazaka. Nemmeno la particolare “solerzia” dell’ambasciatore kazako, che ha ottenuto un’espulsione lampo, ha insospettito funzionari, dirigenti e prefetti.

Terza contraddizione. Come mai, se il ministro Alfano incarica il capo di gabinetto Procaccini di incontrare l’ambasciatore Yelemessov di una questione “delicata”, nei giorni successivi l’interesse cessa di esistere e si assiste a un black-out informativo? Un black-out che coinvolge anche gli altri uffici del Viminale. Nella relazione del Capo della Polizia, si legge che il segretario del Dipartimento di Pubblica Sicurezza Alessandro Valeri “ha memoria solo delle informazioni relative alla fase di polizia giudiziaria, ma non ricorda quando ha appreso dell’espulsione della donna e delle modalità esecutive della stessa”. Insomma Valeri ha un vuoto di memoria. Tuttavia non si spiega perché l’interesse del Dipartimento non cala, come sembra emergere invece dal dossier (si legge: “Lo stesso Dipartimento della pubblica sicurezza ha seguito l’evolversi delle iniziative dei diplomatici kazaki solo fino ad un certo punto, come se dovesse rispondere al gabinetto del Ministro solo relativamente all’eventuale cattura del latitante e non dell’insieme dell’operazione”), in quanto è lo stesso Dipartimento a ordinare, dopo il blitz avvenuto nella notte tra il 28 e il 29 maggio che ha portato al fermo delle due donne, una seconda perquisizione proprio il 29 maggio. Un’irruzione nella villa di Casal Palocco in cui ormai era rimasta solo la figlia di Ablyazov, affidata a un domestico.

Quarta contraddizione.Nel corso della perquisizione – si legge nel dossier di Pansa – Alma esibisce un passaporto diplomatico della Repubblica Centrafricana che viene sequestrato perché palesemente contraffatto. La donna viene denunciata per possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi e accompagnata presso il Cie”. Tuttavia, una nota trasmessa dall’ambasciata kazaka all’Ufficio Immigrazione il 30 maggio alimenta ulteriori dubbi sulla versione ufficiale. In quel documento la donna viene infatti indicata con il suo nome da sposata e non con quello da nubile (Alma Ayan) che invece era sul passaporto esibito ai poliziotti al momento del blitz. In questa nota, che è negli atti della Procura di Roma, i diplomatici kazaki forniscono indicazioni sulle generalità della Shalabayeva, con la data di nascita e il riferimento a due passaporti nazionali del Kazakistan con relativi numeri.  Si legge, quindi, che “in base ai dati dell’Interpol la signora Alma Shabalayeva può usare documenti di identità falsi per il nome di Alma Ayan” e si fa riferimento al passaporto della Repubblica Centrafricana. Perché non sono stati richiesti accertamenti sul nome da sposata della donna?

Le reazioni. Intanto nel Pd monta l’insofferenza verso la vicenda Shalabayeva, in vista della mozione di sfiducia di cui si dovrà discutere venerdì in Senato. Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria del partito vicino a Massimo D’Alema, lancia un aut aut al ministro degli Interni dopo gli interventi di ieri alle Camere. “Penso che potrebbe essere un atto di grande sensibilità istituzionale e politica e di grande responsabilità se, a fronte degli eventi di questi giorni, il ministro Alfano rimettesse le sue deleghe il suo mandato nelle mani del Presidente del Consiglio”. S’allarga dunque il fronte democratico che invoca le dimissioni del titolare del Viminale. Così anche Paolo Gentiloni su twitter: “Quindi non è vero che Alfano non sapeva. Dopo le interviste di Procaccini la sua posizione sempre meno sostenibile”. Dall’altro lato del fiume, il  Pdl difende compatto il suo segretario Alfano: “Senza di lui il governo non va avanti”, è l’altolà lanciato dal capogruppo Renato Brunetta, che paventa piuttosto “manovre” per spianare la strada al sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Una parte del Pd sta quindi valutando se votare per la sfiducia di Alfano. Un’eventualità che, come anticipato ieri dal segretario del Partito democratico Guglielmo Epifani, potrebbe mettere la parola fine al Governo Letta. “Se Alfano sapeva va da sé…Se non sapeva è ancora più inquietante – ha dichiarato ieri Epifani a Repubblica – Un passo indietro del ministro dell’Interno lascerebbe comunque poche speranze di vita all’esecutivo. Può cadere il governo se Alfano si dimette? E’ chiaro che il Pdl trarrebbe le conseguenze”.

Claudio Paudice

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