Nicolas Maduro è pronto al dialogo con l’opposizione. Il sessantaduesimo presidente del Venezuela, dopo il lungo braccio di ferro con lo schieramento che sostiene Guaidò, apre alla possibilità di elezioni legislative anticipate ma esclude l’eventualità di andare alle urne per le presidenziali.
Anche la mediazione di Paesi terzi nella crisi venezuelana è ora un’ipotesi. “Ci sono diversi governi e organizzazioni nel mondo che hanno dimostrato la loro sincera preoccupazione per cosa avviene in Venezuela e hanno esortato al dialogo”. In tal senso Maduro ha menzionato “i governi di Messico, Uruguay, Bolivia, Russia, Vaticano e alcune amministrazioni europee”.
Non si è fatta attendere la risposta del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, che ha accolto di buon grado la notizia e ha esortato l’opposizione a “mostrare un approccio egualmente costruttivo”, ritirando gli ultimatum e agendo “in favore degli interessi del popolo”.
Il leader venezuelano si è poi detto certo che il presidente americano Donald Trump abbia ordinato di ucciderlo. “Ha detto al governo colombiano e alle mafie della oligarchia colombiana di ammazzarmi”, ha sostenuto in una intervista a Sputnik. “Se un giorno mi dovesse succedere qualcosa, i responsabili sarebbero Donald Trump e il presidente della Colombia, Ivan Duque”.
Maduro ha poi concluso che sarebbe ottimo se ci fossero “elezioni anticipate per il Parlamento venezuelano”, affinché si crei “un dibattito politico e una soluzione con il voto popolare” mirata a “sfogare la tensione creatasi con il colpo di Stato imperialista”.
Dalle politiche del dicembre del 2015, l’opposizione controlla 109 seggi del Parlamento unicamerale, contro i 55 della coalizione chavista. Nel gennaio del 2016, però, il Tribunale Supremo di Giustizia ha dichiarato l’Assemblea in ribellione e ha abolito le sue competenze decisionali.
L’Assemblea Nazionale Costituente, invece, conta 545 membri, tutti appartenenti al chavismo, ed è stata eletta in una votazione che è stata denunciata come irregolare dalla maggior parte dei paesi del continente americano, che hanno disconosciuto la legittimità dell’organismo e costituito il Gruppo di Lima, un mese dopo il voto.