Il Venezuela è spaccato a metà. Da ieri sembra essere tornato agli anni 70, con il leader dell’opposizione al governo socialista di Nicolas Maduro, Juan Guaidó, che da Caracas si autoproclama presidente ad interim, e lo stesso Maduro che dal balcone del palazzo presidenziale annuncia che non intende cedere e che combatterà ad ogni costo per mantenere salda la sua posizione.
Lo scontro tra le due fazioni non si è limitato agli attacchi verbali e alle decise prese di posizione. Da martedì a Caracas si spara. Da una parte la polizia fedele al regime, dall’altra i sostenitori del nuovo corso condotto da Guaidó. Tra ieri e l’altro ieri sono stati 16 i morti, nella repressione messa in atto da polizia e esercito contro le proteste antigovernative. I vertici militari del paese rimangono fedeli a Maduro, con il ministro della Difesa venezuelano, che su Twitter scrive che le Forze Armate del suo paese “non accettano un presidente imposto da oscuri interessi o che si è autoproclamato a margine della legge”.
Il riferimento al convitato di pietra della politica sud americana, gli Stati Uniti, è tutt’altro che velato. Donald Trump è stato il primo tra i leader mondiali ad esprimere il suo pieno appoggio a Guidò e ha lanciato un appello affinché tutte le capitali occidentali seguano il suo esempio. Dal sub continente Cile, Colombia e Brasile, hanno immediatamente seguito l’esempio di Washington e lo stesso ha fatto il Canada. Dopo i primi tentennamenti anche l’Unione Europea si è accodata al flusso delle legittimazioni. L’Alto rappresentante Ue per la politica estera Federica Mogherini ha espresso in un comunicato ufficiale che “l’Ue sostiene pienamente l’Assemblea nazionale in quanto democraticamente eletta. È necessario assicurare i diritti civili, la libertà e la sicurezza di tutti i membri dell’Assemblea, incluso il suo presidente Juan Guaidó”.