“Sono rimasto con il cerino in mano. Io pago lo scotto di essere stato il tesoriere che ha eseguito determinati ordini. In questo caso paga l’esecutore ma non il mandante”. Sono queste le parole che Francesco Belsito, ex tesoriere della Lega, ha rilasciato al termine dell’udienza di secondo grado della Corte d’Appello di Milano che l’ha condannato a un anno e otto mesi di reclusione e una multa di 750 euro.
Nello stesso procedimento, che riguardava l’appropriazione indebita di 2,4 milioni di euro del Carroccio utilizzati a fini privati nel periodo 2008-2010, erano coinvolti anche i due Bossi: Umberto e Renzo, il figlio del Senatur. Per loro, il giudice ha disposto il non luogo a procedere.
“Un grazie a Salvini e alla Lega che hanno valutato i documenti delle indagini e che hanno visto che le spese a me imputate non sono state pagate dal partito”, così ha commentato la parziale assoluzione Renzo Bossi dal processo. Infatti, il motivo per cui Cornelia Martini, uno dei giudici presenti ieri a Milano, ha deciso di “salvarlo” con suo padre è dovuto al fatto che il partito non aveva di fatto presentato querela nei confronti dei due Bossi, ma solo per Belsito. Inoltre, il governo Gentiloni aveva introdotto una norma che modifica la procedibilità per appropriazione indebita che necessita, appunto, di querela di parte e non prevede la possibilità per il giudice di procedere d’ufficio.
Si tratta di parziale assoluzione perché in realtà, il sostituto procuratore generale Maria Pia Gualtieri aveva chiesto l’estensione della querela anche a Umberto e figlio: “C’è un unico disegno criminale e si estende a tutti gli imputati al di là delle intenzioni del querelante”, questo si legge in un passaggio della requisitoria presentata ieri.