In Italia chi nasce in una famiglia svantaggiata spesso ha un livello di apprendimento più basso della media. Si tratta di una tendenza rilevata nei dati contenuti nell’ultimo rapporto nazionale sulle prove Invalsi 2018.
“Lo status socio-economico-culturale influisce sui risultati nelle prove per tutto il corso degli studi. In tutte le materie testate dall’Invalsi e in tutti i gradi scolari, dalla scuola primaria alla scuola secondaria di secondo grado, è osservabile una correlazione positiva tra indice di status e punteggio nelle prove (…)”si legge nel rapporto. Gli alunni provenienti da famiglie che godono di una migliore condizione conseguono in media livelli di apprendimento più alti. Migliore è la condizione economica e socioculturale, più alti saranno i livelli di apprendimento raggiunti.
Quella evidenziata è una tendenza media, esiste poi una quota di alunni svantaggiati che riesce comunque a conseguire ottimi risultati. Si tratta degli studenti resilienti che sono il 26.6% secondo i dati di Ocse-Pisa aggiornati al giugno 2018.
La rilevazione contenuta nel rapporto finisce con l’aggravare le disuguaglianze già esistenti. Differenze che nel nostro Paese si evidenziato anche tra le regioni, dove il nord risulta essere più avanti sulle competenze alfabetiche di studenti di seconda superiore rispetto al sud.
Un bambino nato in una famiglia povera, se acquisisce delle conoscenze e delle competenze inferiori ai coetanei, da adulto è più probabile che si trovi a sua volta in difficoltà economica. Così facendo si innesca un meccanismo negativo per cui il ruolo del sistema educativo e le scelte in merito alle politiche pubbliche diventano fondamentali.
Un sistema educativo efficace dovrebbe consentire a tutti, in base alle rispettive capacità, di accedere ai livelli più alti di istruzione a prescindere dalle condizioni della famiglia. Ciascun minore ha il diritto di poter sviluppare il proprio potenziale come scritto dall’articolo 34 dalla costituzione italiana.