«Parlo a studenti giornalisti Lumsa. Ragazzi/e (loro sì) belli svegli ansiosi di imparare. Ma io non ho niente da insegnare né sogni da vendere». E’ questo il tweet che Vittorio Zucconi, direttore di Radio Capital, ha pubblicato lo scorso venerdì mattina, mentre era impegnato in una conversazione sul giornalismo americano all’università Lumsa di Roma.
Grillo e i media. Tanti i temi trattati in un incontro durato oltre un’ora. Prima di tutto quelli afferenti all’attualità, in particolare il rapporto conflittuale tra Beppe Grillo e i media: «Un personaggio politico come Grillo in America non esisterebbe: negli Stati Uniti è impossibile sottrarsi al confronto con i giornalisti; lo avrebbero mangiato vivo». Zucconi ha poi commentato la vicenda riguardante tredici società intestate all’autista e sodale di Grillo e alla cognata del comico genovese, che stanno investendo in imprese immobiliari in Costarica per realizzare resort per un turismo eco-compatibile. «Di questo caso – ha detto Zucconi – so quello che c’e’ scritto sui giornali. Posso comunque dire che per fare i moralizzatori bisogna essere limpidi fino in fondo. Se hai qualcosa da nascondere, infatti, prima o poi esce fuori».
L’informazione in Italia e in America. Il direttore di Radio Capital ha poi invitato gli studenti e i giornalisti praticanti presenti all’incontro a non avere alcun complesso di inferiorità nei confronti del giornalismo americano, dove il mito dell’obiettività andrebbe sostituito da un più realistico principio di onestà, che tenga conto dell’irriducibile soggettività di ciascun giornalista. Di fronte ai grandi cambiamenti che stanno caratterizzando i media a livello globale, Zucconi ritiene che i giornali cartacei non scompariranno e che inseguire pedissequamente i gusti dei lettori, specie quelli più volgari, sul lungo periodo, non abbia nessun senso.
Una parola Zucconi l’ha anche spesa per la crisi del Partito Repubblicano, il quale «non è ancora riuscito a individuare una mission credibile che lo differenzi dai democratici. Obama incarna invece tutte le peculiarità dei progressisti, divenendone un simbolo vivente: è nero e ha tre nomi, nessuno dei quali di origine americana».
L’11 settembre e i complotti. Zucconi non crede che ci sia la Cia dietro l’attacco subito dall’America l’11 settembre ma, sostiene, «qualcosa da chiarire rimane certamente». Concentrandosi soprattutto sulla distruzione di un’intera area del Pentagono, il giornalista – appoggiandosi su testimonianze oculari di amici e conoscenti – ha confermato che ciò che colpì l’edificio non fu un missile ma un aeroplano. «Si è trattato di una manovra difficilissima che un aereo di linea poteva compiere solo se guidato da un pilota esperto, non certo da quattro scalzacani che hanno preso lezioni di volo su un aereo da turismo. Secondo me – ha proseguito Zucconi – si è trattato di piloti provenienti dall’aviazione militare dell’Arabia Saudita. L’attacco all’America di quel giorno, infatti, per me, è stato l’espressione visibile di una guerra intestina al mondo arabo. Ma tutta la verità, molto probabilmente, non la sapremo mai».
Fabio Grazzini