“Buon Natale, signor primo ministro”. È questo il nome che i partiti di opposizione hanno dato alla manifestazione contro il governo del primo ministro Viktor Orbán. Oggi è il quinto giorno di protesta; domenica 15mila persone hanno marciato in direzione del Parlamento e del quartier generale della tv di stato, dando vita a una delle più grandi contestazioni mai realizzate nel paese dal 2010.
Motivo dello scontro sono le nuove norme sul lavoro volute da Orban, definite vere e proprie “leggi sulla schiavitù”. Le normative sono state adottate mercoledì e portano a 400 l’anno le ore di straordinario che un datore di lavoro può chiedere ai propri dipendenti, mentre i pagamenti saranno distribuiti entro tre anni. Gli straordinari non sono obbligatori, ma difficilmente un lavoratore può sottrarsi a generali richieste dell’azienda.
Oltre alla legge “schiavista”, i manifestanti hanno reclamato l’abrogazione di una norma adottata sempre mercoledì, che crea giurisdizioni specifiche per materie come le gare pubbliche d’appalto e i contenziosi elettorali, alimentando i timori per l’indipendenza della magistratura.
Il momento più drammatico è arrivato nella notte tra domenica e lunedì quando i deputati del partito di opposizione Lmp Akos Hadhazy e Bernadett Szél, accompagnati da circa duemila manifestanti, hanno provato a entrare nella sede della tv pubblica Mtva per leggere una petizione contro le politiche del governo. Sono stati buttati fuori dall’edificio con la minaccia di una condanna a 10 anni di detenzione.
La legge sugli straordinari è stata varata per rispondere alla carenza di manodopera che affligge l’economia in piena espansione. Molte grandi aziende straniere – in particolare tedesche – negli ultimi anni hanno delocalizzato in Ungheria, ma fanno fatica a trovare la manodopera necessaria.
Finora la politica anti-migranti, grazie alla piena occupazione, aveva garantito a Viktor Orbán ampi consensi. Ma senza gli stranieri manca anche manodopera a buon mercato, così il premier ha dovuto rispondere forzando sugli straordinari.