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HomeCronaca Otto casi di morbillo accertati presso l’Ospedale Giovanni XXIII di Bari

Caso morbillo a Bari
8 persone infette
si esclude l'epidemia

Un bambino non vaccinato

Il ministro Grillo: "molto da lavorare"

di Giuseppe Galletta12 Novembre 2018
12 Novembre 2018

L'entrata dell'Ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari in una foto di archivio ANSA

Sarebbero otto i casi di morbillo accertati presso l’ospedale Giovanni XXIII di Bari a seguito del contagio presumibilmente innescato da una bambina di 10 anni figlia di genitori aderenti al movimento “no vax”.
Secondo la Gazzetta del Mezzogiorno, il focolaio epidemico sarebbe scoppiato a causa del ritardo nell’applicazione dei protocolli previsti dalla legge per questo tipo di malattie ad alto rischio di diffusione.
Fra i contagiati preoccupano le condizioni di un bimbo di 11 mesi già ricoverato per una grave malattia.
Cinzia Germinario, responsabile dell’Osservatorio epidemiologico della Regione Puglia, ha spiegato che «non c’è nessun allarme epidemia di morbillo in Puglia. Basta il ricovero di un bambino, come accaduto in questo caso, per innescare una normale catena di contagio tra i non vaccinati perché il morbillo è una patologia altamente contagiosa. La situazione non è preoccupante – continua la Germinario – ma comunque queste cose non dovrebbero accadere».
La vicenda ha inevitabilmente suscitato reazioni a livello mediatico ed è intervenuto anche il vice presidente del Gruppo Misto alla Camera, Beatrice Lorenzin, ex ministro della Salute: «chiediamo come gruppo parlamentare ispezioni a Bari sia sanitarie che amministrative, così come un indagine a tappeto nel resto del paese per capire come viene attuata la legge dopo la circolare Grillo».
Una presa di posizione netta, alla quale l’attuale ministro della salute Giulia Grillo ha opposto un comunicato stampa che evita accuratamente di entrare nel merito dei rilievi mossi da Lorenzin. Grillo ha voluto precisare che il nuovo focolaio di morbillo segnalato a Bari, sul quale sono ancora in corso accertamenti da parte delle autorità sanitarie nazionali e locali, «evidenzia come il nostro Paese abbia ancora molto da fare per giungere ad eliminare questa patologia».

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