HomeCronaca Il dopo-voto presenta ai vincitori un Paese ingovernabile: tutto adesso si gioca sulle alleanze

Il dopo-voto presenta ai vincitori un Paese ingovernabile: tutto adesso si gioca sulle alleanze

di Fabio Grazzini26 Febbraio 2013
26 Febbraio 2013

Un verdetto inaspettato quello uscito dalle urne che premia in particolar modo la campagna elettorale aggressiva di Beppe Grillo e il risoluto presenzialismo televisivo di Silvio Berlusconi. I due leader sono infatti riusciti nell’impresa sia di contenere Mario Monti che di rosicchiare al Partito democratico buona parte del cospicuo vantaggio con il quale mesi fa si apprestava ad affrontare la campagna elettorale. Ma lo scotto da pagare a un successo così rilevante, adesso, consiste nell’estrema difficoltà di riuscire a creare una maggioranza e un’opposizione chiare e distinte: obiettivo ambizioso con il quale la coalizione di centrosinistra, la vincitrice numerica delle elezioni, dovrà presto fare i conti.

Una vittoria di Pirro. Se alla Camera il centrosinistra è riuscito a ottenere la maggioranza relativa –  guadagnando 340 seggi, e lasciandone 124 al centrodestra, 108 al Movimento Cinque Stelle e 45 a Monti – a Palazzo Madama le cose si sono terribilmente complicate. Qui infatti il testa a testa con Silvio Berlusconi ha portato a una situazione di completa ingovernabilità: 120 seggi per il centrosinistra, 117 per il centrodestra, con 54 poltrone a Grillo e 18 al Centro.
Una discrepanza tra Camera e Senato dovuta essenzialmente all’attuale legge elettorale che prende il nome da Roberto Calderoli, il cosidetto Porcellum, che per il Senato prevede un premio di maggioranza su base regionale: un meccanismo completamente diverso rispetto a quello che gestisce Montecitorio, dove alla coalizione che ottiene la maggioranza relativa dei voti viene semplicemente garantito un minimo di 340 seggi. Diverso dunque, per la Camera Alta, il peso di ciascuna regione, calcolato in base al numero dei suoi abitanti. Determinanti sono state un pugno di regioni, in particolare la Lombardia, il Lazio e la Sicilia, le quali eleggono rispettivamente 49, 28 e 25 senatori. Ma i voti degli italiani all’estero, da finire di scrutinare, possono ancora fare la differenza al Senato, permettendo eventualmente al centrosinistra di guadagnare qualche altro seggio.

Le posizioni di Bersani, Vendola e Grillo. Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, ha dichiarato che «è evidente a tutti che si apre una situazione delicatissima per il Paese. Gestiremo le responsabilità che queste elezioni ci hanno dato nell’interesse dell’Italia. Non è necessario tornare a votare».
Il leader di Sinistra ecologia e libertà, Nichi Vendola, si è spinto invece oltre, aprendo esplicitamente a Grillo: «Penso che abbiamo di fronte un Parlamento che ha dentro di sé delle grandi incognite, ma il Parlamento serve perché ci si possa conoscere, parlare. E credo – ha proseguito Vendola – che nel vocabolario del Movimento Cinque Stelle ci sono tante parole che hanno a che fare con i dilemmi di questa epoca. Abbiamo il dovere del confronto nel Parlamento con chi ha incarnato la forza di una domanda netta di cambiamento».
Netta, infine, la contrarietà di Beppe Grillo a un’eventuale larga intesa: «Ostacoleremo il governissimo».

La strategia del centrodestra. «Ho fatto tutto quello che potevo, non ho nulla da rimproverarmi». Ha la coscienza a posto Silvio Berlusconi, dopo essere riuscito a recuperare in extremis una campagna elettorale iniziata per la sua compagine sotto i peggiori auspici. E la strategia adesso, per il Cavaliere, rimane una sola: «Non abbiamo alternative, non si può tornare alle urne, non subito: ci aspetta un governo di larghe intese col Pd per le riforme, quella elettorale, soprattutto, per eleggere il capo dello Stato e poi vedremo».
Se Berlusconi sente di aver dato il massimo, senza rimpianti, diversa è la situazione riguardante la Lega Nord, che attraverso Flavio Tosi, sindaco di Verona, dinanzi ai desolanti risultati elettorali (4,1% alla Camera, 4,3% al Senato), esprime un certo rimorso: «Non lo nego, abbiamo pagato caramente l’alleanza col Pdl. Il travaso principale, da noi a Grillo, è avvenuto proprio qui da noi».
Sempre all’interno del centrodestra viene decisamente contestata una soluzione emersa nelle ultime ore, legalmente percorribile: lo scioglimento del solo Senato. «Secondo me Berlusconi – ha detto Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio –  lancerà una proposta di unità nazionale. Penso. Spero. Sarebbe assurdo se non lo facesse. E’ il consiglio che gli ho dato. Sciogliere solo il Senato sarebbe un golpe».

I grandi esclusi. Il risultato elettorale non brillante raggiunto dal Centro composto da Mario Monti, Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini ha avuto ripercussioni soprattutto su quest’ultimo, l’ex-presidente della Camera dei Deputati, escluso impietosamente dal Parlamento: «Per quanto ci riguarda è impossibile nascondere un risultato totalmente negativo ed è inutile recriminare. Per l’Italia temo che il peggio debba ancora venire», ha detto tetramente Fini al termine dello spoglio.
Altri esclusi di vaglia dall’assemblea legislativa sono poi stati gli ex-magistrati Antonio Ingroia e Antonio Di Pietro. Il primo ha dato la colpa esclusivamente al Pd, sostenendo che la sconfitta del suo partito, Rivoluzione civile, «è il frutto di scelte suicide del centrosinistra che potendo aprire un dialogo con noi ha invece guardato a Monti e ha perso l’elettorato di sinistra che è andato verso Grillo. Il centrosinistra ha perso le elezioni e noi non entriamo in Parlamento. Proprio un bel risultato». Per Antonio Di Pietro invece, l’esclusione è da ricondurre unicamente a propri errori personali: «Ho sbagliato e adesso ho bisogno di tempo per riflettere» ha dichiarato laconicamente il leader di Italia dei valori.


Fabio Grazzini

 

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