«Giuro di rispettare e sostenere i diritti e le libertà degli individui e dei cittadini, di osservare e proteggere la costituzione della Federazione Russa, di difendere la sovranità, l’indipendenza, la sicurezza, l’integrità dello Stato, e di servire il popolo in buona fede». Con queste parole Vladimir Putin si riprende la Federazione Russa. Il leader di Russia Unita, partito creato nel 2001 a sua immagine e somiglianza, ha giurato ieri sulla Costituzione insediandosi per la terza volta al Cremlino, dopo i successi del 2000 e del 2004; prosegue in questo modo l’egemonia da parte dei cosiddetti Siloviki, gli oligarchi russi, che dura ormai da oltre un decennio.
L’alternanza del tandem al potere. Nel solco della continuità s’inserisce anche il primo atto formale da neo Capo dello Stato. Putin ha convocato in seduta straordinariala Duma, la camera bassa del parlamento moscovita, avanzando la nomination di Dimitri Medvedev alla guida del Governo.
Si ripropone uno scambio di poltrone che ha permesso a Putin di essere il regista della politica russa anche da Premier; solamente il limite del doppio mandato consecutivo gli aveva infatti impedito di essere eletto per la terza volta così, nel 2008, si dovette accontentare della poltrona di Primo Ministro, lasciando temporaneamente a Medvedev le chiavi del Cremlino. Una partnership tra i due principali simboli del partito di maggioranza che prosegue all’insegna della continuità nell’alternanza. Ora, dopo la riforma costituzionale che ha portato il mandato presidenziale da quattro a sei anni (voluta proprio da Medvedev), Putin si appresta a gestire le sorti della Russia fino al 2018.
Le proteste. Un clima di festa, quello della sala S. Andrea del Cremlino, che stona con le immagini di una Mosca in assetto di guerra. Migliaia i manifestanti scesi in piazza, nonostante i divieti, per ribadire il proprio dissenso nei confronti di quello che è a tutti gli effetti e diventato lo zar del terzo millennio. Fermati dalla polizia, assieme ad oltre mille manifestanti, i due personaggi emblema della protesta: Alexei Navalny, il blogger divenuto la voce delle opposizioni e Sergei Udaltsov, leader del “Fronte di Sinistra”.
L’affermazione di Putin si porta dietro l’ombra dei brogli, nonostante quasi il 64% dei consensi, e gli episodi di ieri sono solo l’eco di quelle ormai famose “passeggiate del popolo” inscenate nei giorni precedenti le elezioni del marzo scorso. Focolai di protesta, ma pacifici, che non accennano a placarsi neanche oggi.
Marcello Gelardini