Le fede forse non sposterà le montagne ma consente di trovare la forza per correrci in salita . Accade in Nepal, dove un gruppo di monaci buddisti ha deciso di darsi alle maratone: non competizioni qualsiasi, ma gare di ultrarunnig, percorsi estenuanti lungo le vette dell’Himalaya. La decisione dei religiosi ha una finalità benefica. Tre anni fa il loro villaggio, Sindhukot, è stato distrutto dal terremoto. «Vogliamo raccogliere tramite la corsa i soldi necessari a ricostruire tutto», ha spiegato Man Bahadur, uno dei sette monaci del gruppo.
I religiosi hanno così deciso di indossare le scarpette e allenarsi con costanza. Sono quasi 40 i km di corsa al pomeriggio. Una cifra ragguardevole, ma non così tanto per i giovani maratoneti. Il loro villaggio è, infatti, tagliato fuori dal mondo: per arrivare alla prima scuola ci vogliono due ore. La capitale Kathmandu dista invece 80 km.
Per Minga Gyabo, organizzatore di gare locali, i monaci non sono abbastanza preparati: «Sono talentuosi, ma non hanno le scarpe giuste, le conoscenze tecniche e la dieta corretta». Così nella prima gara Bahadur, giovane talento del gruppo, è arrivato decimo. Una posizione che non gli ha permesso di vincere il premio da centomila rupie, quasi 950 euro. Piccole cifre, verrebbe da pensare, ma in realtà i soldi avrebbero contribuito alla causa. In Nepal il reddito medio è inferiore a tale cifra.
La strada è in salita, ma i giovani hanno diversi esempi a cui ispirarsi. Da un lato il nepalese Rai Rai, vincitore della Ben Nevis Ultra, maratona scozzese di 52 km. Dall’altra i monaci maratoneti del Monte Hiei. Un gruppo instancabile, capace di percorrere mille gare in mille giorni. In questo caso, però, i colleghi corrono per motivi spirituali e non per beneficenza.