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HomeEconomia Cresce lo smart working, il “lavoro agile” da casa. Dal 2013 aumento del 60%

Cresce lo smart working
il "lavoro agile" da casa
Dal 2013 aumento del 60%

Risultati positivi anche per le lauree

in campo umanistico che creano lavoro

di Rossella Melchionna20 Febbraio 2018
20 Febbraio 2018

Aumentano sempre di più le aziende che introducono progetti di smart working, ovvero il “lavoro agile” svolto da casa. A testimoniarlo sono gli ultimi dati dell’Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano, secondo cui la nuova modalità di lavoro è aumentata del 14% rispetto al 2016 e del 60% rispetto al 2013.

Lo smart working è realizzato soprattutto da chi ha dimestichezza con il mobile e con le nuove tecnologie. In generale, comunque, l’attività in questione è svolta – con percentuali stabilite caso per caso – in parte all’interno delle aziende e in parte fuori. È chiaro, però, che l’alternanza di lavoro dentro-fuori deve rispettare gli orari giornalieri e settimanali previsti dalla legge e dai contratti collettivi. Inoltre, nell’accordo, sono stabiliti i tempi di riposo e di disconnessione dagli strumenti di lavoro. Nonostante ciò in Giappone, dove da anni lo smart working è una realtà, il 30% dei lavoratori è attivo anche nel fine settimana (secondo una ricerca di Eurofound).

Intanto, un report dell’American Academy of Arts and Sciences ha sfatato il mito dell’inutilità delle lauree umanistiche, sostenendo che gli studi nelle “arti liberali” garantiscono margini di entrate e di soddisfazione pari agli altri corsi di studio. Il Sole 24 Ore, tra i primi a riportare la notizia, ha evidenziato come i laureati nelle discipline umanistiche abbiano un reddito di 52mila dollari l’anno – dopo il titolo triennale – e di 72mila dollari dopo la laurea magistrale. Numeri leggermente inferiori se paragonati ai colleghi formati in ingegneria, ma comunque sopra gli standard necessari per la stabilità economica e di chi si è fermato al diploma.

Secondo la ricerca statunitense, uno dei valori aggiunti di chi possiede competenze umanistiche consiste proprio nell’assenza di una coerenza tra ciò che si è studiato e il lavoro. Difatti, l’11% dei laureati del settore fa carriera nel management, ma anche in Ict, finanza, vendite e servizi. Le grandi industrie, quindi, hanno sempre più bisogno di laureati che hanno competenze intellettive sviluppate mediante gli studi umanistici.

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