A mezzanotte del 23 gennaio i caccia dell’aviazione turca hanno sganciato bombe e razzi incendiari solcando il cielo di Afrin, nord ovest della Siria, enclave curda. È iniziata così l’operazione “Ramoscello di ulivo”, il blitz che Ankara ha pianificato per ostacolare i presunti terroristi curdi nel nord della Siria. La decisione di Erdogan, nonostante il diritto internazionale vieti esplicitamente di attaccare militarmente un altro Paese, ha il chiaro intento di affrontare definitivamente la partita aperta coi curdi. Nel conflitto siriano, questa minoranza ha giocato un ruolo fondamentale: dopo la presa di Raqqa i peshmerga hanno continuato a difendere tutta la regione nord orientale. Al fianco dei curdi, in questa battaglia, ha avuto un ruolo chiave Washington, che fornisce dallo scorso anno armamenti e supporto logistico ai combattenti, unico modo per gli Usa di contrastare l’avanzata dei jihadisti dello Stato Islamico. Ora che la Turchia sta minando l’equilibrio precario raggiunto grazie alla presa di alcuni zone della Siria da parte dei curdi, gli Usa dovranno scegliere: continuare ad appoggiarli o evitare di inimicarsi Erdogan?
Questo non sembra essere l’unico tavolo che le potenze occidentali devono aprire con il leader di Ankara. Il Presidente turco sarà in visita a Roma domenica e lunedì e la visita potrebbe rappresentare un’occasione per riaprire l’annosa questione migranti. Le tre rotte battute dall’Italia (Libia, Iran e Niger), secondo molti osservatori, non stanno dando i frutti sperati. In questo contesto Ankara potrebbe tornare a essere un partner strategico per arginare i flussi che arrivano dal Medioriente, godendo di un indiscusso potere in quella zona. Intanto a Roma si temono violente proteste: nell’informativa della Questura di Roma si parla in particolar modo del rischio di azioni dimostrative da parte delle comunità curde ai danni di passeggeri turchi negli aeroporti europei.