“Sono esasperato, non otterrai mai da me la separazione”. Poi un colpo sparato dalla pistola d’ordinanza colpisce alla tempia Annamaria Mele, uccidendola. La piccola Vanessa, sei anni appena, sta giocando nella sua cameretta.
È l’unica figlia di questa coppia di Nuoro; casalinga lei e guardia forestale lui. Un giorno di vent’anni fa si consuma la tragedia mentre Vanessa, ignara nella stanza accanto, sta continuando a vivere la sua età. Poche ore dopo l’assassinio di Annamaria Mele, gli inquirenti sequestrano l’abitazione e portano via dall’orrore Vanessa. Il padre assassino, costituitosi ai carabinieri senza alcun pentimento, riceverà la pena di quattordici anni di reclusione. Ne sconterà otto, uscirà grazie all’indulto. In quegli anni la bimba cresce con gli zii materni, i giocattoli e i libri di favole ancora in quella che era stata la sua cameretta.
“Quella casa Vanessa non l’ha più rivista. Lì dentro tutto è rimasto com’era”. Il racconto di Anna Maria Busia, responsabile giustizia di Centro Democratico, consigliera regionale in Sardegna, si focalizza sul presente. Questa orfana speciale, così il linguaggio burocratico denomina Vanessa Mele, ora ha ventisei anni e per tutto questo tempo non ha avuto un euro di risarcimento.
In questi anni ha fatto causa al padre per avere ciò che pensava le fosse dovuto: la sua casa, la pensione di reversibilità, un aiuto economico per costruirsi una vita. Il padre, uscito dal carcere nel novembre 2007, non aveva avuto remore a presentare domanda all’Inpdap ottenendo quel 60 percento della pensione di Annamaria che gli spettava per legge, lasciando a Vanessa il 20 percento. In più, è potuto tornare subito a casa, il luogo del delitto. Anna Maria Busia, avvocato prima che esponente politico, ha seguito la battaglia di Vanessa. “E’ lei che mi ha ispirato questa legge, ma l’ho scritta perché ciò che questa orfana ha vissuto è una costante che ritrovo in tutte le storie di femminicidio”.
La genesi della legge Busia la racconta a Lumsanews. “Dobbiamo toglierci dalla testa che gli uomini uccidano le moglie per motivi passionali. Dietro questi delitti tante volte c’è la motivazione del denaro: ammazzano perché non vogliono pagare l’assegno di mantenimento, gli alimenti, la casa. Ed è lì che bisognava incidere”. Lo scorso 21 dicembre il Senato ha approvato, dopo anni di vuoto legislativo, il decreto di legge a tutela degli orfani di reati domestici. Il testo ha lo scopo di cambiare profondamente il codice civile e penale sul tema. “Andava posta la vittima al centro. Il nostro sistema di stampo fascista si rivolge all’autore del reato e non alla vittima, che non è tutelata. Questo pacchetto invece presta attenzione alle vittime e offre gli strumenti per difendersi.”
IL DECRETO
Le nuove tutele si applicano ai figli minorenni e maggiorenni economicamente non autosufficienti della vittima di un omicidio commesso dal coniuge (anche se separato o divorziato), dal partner di un’unione civile (anche se cessata) o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza.
Gli orfani di crimini domestici potranno accedere al gratuito patrocinio a prescindere dai limiti di reddito. Lo Stato si farà carico delle spese tanto nel processo penale quanto in quello civile e il pm che procede per omicidio ha l’obbligo di richiedere il sequestro conservativo dei beni dell’indagato.
Nei confronti del familiare per il quale è chiesto il rinvio a giudizio per omicidio viene sospeso il diritto alla pensione di reversibilità. Durante tale periodo la pensione, senza obbligo di restituzione, sarà percepita dai figli della vittima. La condanna e il patteggiamento comportano automaticamente l’indegnità a succedere e fino ad archiviazione o proscioglimento, resta sospesa la chiamata all’eredità. A decorrere dal 2017 il Fondo per le vittime di mafia, usura e reati intenzionali violenti viene esteso anche agli orfani di crimini domestici con una apposita dotazione aggiuntiva di 2 milioni di euro all’anno, per borse di studio e reinserimento lavorativo. Ai figli delle vittime è assicurata assistenza medico-psicologica gratuita fino al pieno recupero . In ultima istanza, se il cognome è quello del genitore condannato in via definitiva, il figlio può chiedere di cambiarlo.
L’impianto economico su cui si basa la legge sta attirando critiche. Gli zii affidatari di due orfani speciali, hanno pubblicato in questi giorni una lettera su La Stampa in cui denunciano delle gravi lacune nel decreto. “La parte delle coperture non convince, sono frutto degli emendamenti aggiunti in Parlamento per far passare il testo”. Quello a cui si riferisce Busia, concordando con la lettera citata, è la parte delle coperture economiche. Anche secondo Ai.Bi, una delle associazioni a tutela dei minori più grande d’Italia, la parte finanziaria è da rifare. A fronte dei 1600 orfani di reati domestici stimati in Italia, i due milioni messi a disposizione come fondo speciale integrato a quello delle vittime di mafia è insufficiente.
“Non sono per gli aiuti a pioggia, sono per gli interventi strutturali. Bisogna organizzare una task force che si occupi lì dove serve, inutile prevedere una figura in ogni regione.” La relatrice del testo commenta così la critica che riguarda l’aver demandato l’applicazione a livello regionale. Il rischio previsto da numerose associazioni che si occupano di assistenza agli orfani è che in questo modo possano venire a crearsi dei minori di serie A e minori di serie B, in base al luogo di provenienza. “L’assistenza è costosa, i processi possono costare centinaia di migliaia di euro. Questa legge può funzionare da deterrente per chi commette reati di femminicidio” conclude la Busia.
Anna Costanza Baldry, psicologa e criminologa nonché responsabile del progetto europeo Switch-off a tutela dei minori vittime di violenza domestica, sottolinea la grave mancanza di tre azioni di intervento fondamentali: un rimborso spese garantito a prescindere dal reddito, come per qualsiasi altro tipo di affidamento, e la promozione e il sostegno di un Osservatorio nazionale sugli orfani speciali, gestito e coordinato da un’istituzione non politica o governativa, e quindi indipendente. Un punto che la Baldry ritiene fondamentale è, infine, che una parte dei fondi previsti per il sostegno psicologico di questi orfani vada a quelle realtà territoriali, i Centri Anti Violenza, che si occupano della violenza contro le donne e quindi anche delle ricadute sui loro figli. Secondo la criminologa, i CAV sono le uniche realtà a cui riconoscere la competenza di occuparsi di femminicidi e degli effetti che hanno sui figli.