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HomeCultura “Noi di Patamu facciamo della disobbedienza civile contro il monopolio Siae”

"Noi di Patamu facciamo
della disobbedienza civile
contro il monopolio Siae"

A Bonforti, ad della società, non piace

l'applicazione della direttiva Barnier

di Christian Dalenz26 Gennaio 2018
26 Gennaio 2018

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Adriano Bonforti non è solo l’amministratore delegato di Patamu. E’ anche musicista e ricercatore in biomedicina a Barcellona. La sua passione per la musica è talmente forte che ha cominciato a lavorare al progetto di una società per la tutela dei diritti d’autore sin dal 2010. Ha vinto un bando di finanziamento dall’Università di Bologna ed un altro della provincia di Roma nel 2011. I soldi gli sono serviti per cominciare l’attività di Patamu, la prima società in Italia alternativa a Siae.

[vai all’inchiesta generale sulla tutela del diritto d’autore musicale]

Voi intendete creare una società esterna a Patamu per la riscossione dei diritti musicali, come ha fatto Soundreef con Lea?

Ora penseremo a come muoverci. Ma in primo luogo voglio dire che noi riteniamo che in Italia si sia ricevuta la direttiva Barnier erroneamente. La direttiva, a nostro avviso, permette anche alle società a scopo di lucro di operare nella riscossione. Di fronte a questo scenario, noi intendiamo continuare a raccogliere i proventi dei diritti musicali come stiamo facendo, da società posseduta da un’altra fondata con vocazione sociale (Innovaetica, ndr). La nostra è una sorta di disobbedienza civile.

Secondo me quando Soundreef sceglie di fondare Lea per rispettare la legge italiana fa una lotta a metà. Perché è sul far valere le norme europee che a nostro avviso si dovrebbe puntare.

Il monopolio Siae è davvero finito secondo lei?

Il monopolio Siae è finito e non è finito allo stesso tempo. E’ finito perché esistiamo noi e Soundreef. Nello stesso tempo purtroppo non è finito per via della mancata completa liberalizzazione ai sensi del diritto comunitario. E questo ci svantaggia nella raccolta di sufficienti investimenti per far crescere Patamu.

Quali sono i vostri rapporti con Soundreef?

Noi avevamo un rapporto di collaborazione con loro all’interno del quale eravamo d’accordo perché Patamu proteggesse dal plagio gli artisti di Soundreef. Quest’ultima avrebbe riscosso i proventi dei diritti anche per nostro conto. Poi abbiamo lanciato insieme la “Rivoluzione delle 30 band”: avevamo fatto iscrivere 30 nostri artisti a Soundreef. Ma loro non rispettarono i patti. Non ci hanno fornito trasparenza sulle operazioni di queste band in merito alla riscossione dei diritti e alla tutela dal plagio così come noi richiedevamo.

Rivendico inoltre la nostra battaglia nel lottare contro il monopolio, che precede quella ingaggiata da loro. La nostra petizione in questo senso ha raccolto molto più firme di quella promossa da Soundreef (30.000 contro 300), la quale ha possibilità economiche superiori alle nostre grazie ai suoi finanziatori e perciò pubblicizza meglio le sue battaglie. Ci farebbe piacere che ci citassero quando parlano della necessità di liberalizzare il mercato.

E’ vero che voi non riuscite a garantire la qualità tecnologica che Soundreef richiede e che li ha spinti ad affidarsi a Safecreative per la tutela dal plagio, come ha dichiarato Davide D’Atri a Lumsanews?

Penso che non abbiamo nulla da invidiare a nessuno su questo profilo, nemmeno a SafeCreative. A me sembra che quella di D’Atri sia una scusa per coprire i patti che non ha rispettato con noi. I nostri artisti sono contenti del servizio che gli offriamo. In tal senso, invito a leggere i commenti che ci lasciano sul nostro sito.

In ogni caso, credo che Soundreef abbia diritto a fare le proprie legittime scelte su come agire sul mercato, come le fa Patamu.

Creare un ente pubblico che raccolga i proventi dei diritti per conto di Siae, Soundreef e Patamu potrebbe aiutare la creazione di un buon mercato?

Certamente, questa potrebbe essere una soluzione in tal senso.

 

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