Non è un allarme, ma un’ecatombe. Nella giornata mondiale per la lotta l’AIDS sono numeri, elevati, alti, preoccupanti a mandare un solo messaggio: l’HIV è un problema globale.
Le cifre arrivano dalla World Health Organization che parla di 36,7 milioni di casi accertati di HIV alla fine del 2016 con 1 milione di decessi dovuti a problemi di salute legati alla malattia. In Italia la situazione, così come illustrata dall’Istituto Superiore di Sanità, non permette di abbassare la guardia: 3451 sono state infatti le nuove diagnosi di infezione in Italia con una percentuale di diminuzione dei casi che però è stata minima per quanto riguarda gli under 25.
Negli anni si osserva un aumento dell’età mediana alla diagnosi, nonché un cambiamento delle modalità di trasmissione: diminuisce la proporzione di consumatori di sostanze per via iniettiva, ma aumenta la proporzione dei casi attribuibili a trasmissione sessuale, in particolare tra maschi che fanno sesso con maschi (msm). Il registro nazionale Aids è attivo sin dall’inizio degli anni ottanta. “Nel 2015”, sostiene il rapporto dell’Istituto superiore di Sanità, “sono stati segnalati al centro operativo 789 casi, pari a un’incidenza di 1,4 nuovi casi per centomila residenti. Oltre il 50 per cento dei casi di Aids segnalati nel 2015 era costituito da persone che non sapevano di essere hiv-positive”.
Secondo il rapporto “la maggioranza delle nuove diagnosi di infezione da hiv è attribuibile a rapporti sessuali senza preservativo, che costituiscono l’84,1 per cento di tutte le segnalazioni (eterosessuali 43,2 per cento; msm 40,9 per cento)”. La percentuale è arrivata all’85,5 per cento (eterosessuali 44,9 per cento; msm 40,6 per cento).
In Italia regna il deserto politico-legislativo. Mentre altrove si parla di rispetto della persona sieropositiva (lotta allo stigma sociale), di campagne, di Profilassi Pre-Esposizione (PrEp), di preservativo, educazione sessuale nelle scuole e di riduzione del rischio. In Italia non esiste una proposta di legge sul tema.
Non solo. Le persone sieropositive al virus dell’HIV vengono colpite due volte, dal pregiudizio sociale. Dalla pubblicità progresso con l’alone viola poco è cambiato. Era la fine degli anni ottanta e lo slogan “se lo conosci lo eviti, se lo conosci non ti uccide” chiudeva una quarantina di secondi, giudicati all’epoca ansiogeni e minacciosi.
Oggi, forse, è pure peggio. Se la ricerca e la medicina consentono a chi ha contratto il virus di vivere bene e a lungo, la prevenzione e la “normalizzazione” sociale rimandano a decenni fa. Rimandano all’inizio di un’epidemia in cui il pregiudizio comune faceva apparire la persona sieropositiva come colpita addirittura da una sorta di punizione per una presunta immoralità nella condotta di vita.
In altre parole, se oggettivamente l’hiv è ormai paragonabile a una malattia cronica contenibile e compatibile con un’alta qualità della vita, soggettivamente la colpa e la vergogna sono indelebili quanto quell’alone viola. Ed è proprio il miglioramento medico che ha contribuito alla contraddizione tra l’aspetto sanitario e la percezione. Prima si moriva, ora si vive a lungo ma lo stigma è un peso aggravato dall’ignoranza e dalla scarsa iniziativa istituzionale. Un peso, soprattutto, evitabile e per questo ancora più intollerabile.
Una riflessione a parte meriterebbe il rapporto Unicef che segnala nel 2016, 120.000 bambini sotto i 14 anni morti per cause legate all’Aids, e ogni ora 18 sono i bambini colpiti da Hiv.
Secondo le proiezioni dello Statistical Update on Children and AIDS 2017 (Aggiornamento statistico sui bambini e l’AIDS) dell’Unicef, lanciato oggi in occasione della Giornata Mondiale contro l’Aids, se questa tendenza dovesse persistere, nel 2030 sarebbero 3,5 milioni i nuovi casi di adolescenti colpiti da Hiv. Il controllo e la cura pediatrica dell’Hiv, denuncia l’Unicef, sono indietro: solo il 43% dei bambini esposti all’Hiv riceve controlli durante i primi due mesi di vita, come raccomandato, e la stessa percentuale di bambini con Hiv riceve cure antiretrovirali salvavita.
In occasione di questa giornata le associazioni LGBTI italiane in collaborazione con LILA (Lega Italiana per la lotta all’AIDS) hanno organizzato diverse campagne di sensibilizzazione su tutto il territorio fondate sui pilastri legati alla prevenzione, alla profilassi e alla rimozione dello stigma delle persone sieropositive.