La storia di Bibli, tra i principali centri culturali di Trastevere, è singolare. Una crisi che parte da lontano e che, probabilmente, si sarebbe potuta evitare. Ne abbiamo parlato con Agnese Andreoli, una delle due socie fondatrici.
Quando sono iniziate le difficoltà e le richieste di aiuto al Comune di Roma?
“I primi contatti sono avvenuti quando ancora era sindaco Veltroni, circa due anni prima delle ultime elezioni (nel 2006, ndr). Anche durantela Giunta Alemannoabbiamo continuato a sensibilizzare il Campidoglio. Nel frattempo il canone d’affitto è triplicato ed abbiamo deciso di chiudere”.
E la risposta delle istituzioni quale è stata?
“Era stato individuato uno spazio inutilizzato, di proprietà del Comune, in via San Francesco di Sales (vicino alla sede storica della libreria); ma in tutti questi anni il provvedimento di assegnazione non è mai arrivato”.
Quali sono i motivi di tante difficoltà per ottenere quegli spazi?
“Non saprei. Tra l’altro noi non chiedevamo al Comune un finanziamento; anzi, eravamo disposti a ristrutturare a nostre spese quei locali e, se necessario, a pagare un canone d’affitto che fosse adeguato alle nostre possibilità economiche”.
E voi avete intrapreso qualche iniziativa per sollecitare la soluzione del problema?
“Insieme ai dipendenti abbiamo organizzato una manifestazione a fine giugno, pochi giorni prima della chiusura, senza risultati; ne è poi seguita un’altra ad ottobre, per accelerare l’approvazione della delibera”.
Dopo la manifestazione di ottobre è effettivamente cambiato qualcosa?
“Recentemente la delibera di assegnazione è stata approvata dall’assemblea capitolina (l’8 marzo scorso, ndr). Finalmente una buona notizia, ma è ancora presto per dire se riapriremo nella nuova sede”.
Marcello Gelardini
