Qual è l’obiettivo della “scrittura inclusiva”?
“Ancora oggi, nonostante siano state prese varie misure in favore dell’uguaglianza fra uomini e donne, sussistono ancora molte disparità. L’osservatorio delle disuguaglianze ha stimato, per anno appena trascorso (2016, ndr), che le donne guadagnano in media il 23,5% in meno degli uomini. Per questo, noi pensiamo che per far progredire l’uguaglianza bisogna agire su ciò su cui si strutturano le menti, vale a dire il linguaggio. La nostra proposta è quella di una scrittura inclusiva che designi un insieme di attenzioni grafiche e sintattiche per arrivare ad assicurare un’eguale rappresentanza tra uomini e donne.”
Crede che la femminilizzazione linguistica delle professioni sia un qualcosa di assodato?
“La femminilizzazione dei nomi di funzioni, gradi, mestieri e titoli tende a essere sempre più accettata, ma la strada per considerarla assodata è ancora lunga. In modo particolare, per quanto riguarda tutte quelle professioni considerate più prestigiose a livello sociale. Non a caso si nota come non ci sia nessun problema a parlare di “infermiera” mentre si fa molta più fatica a dire “chirurga”.”
“Un pericolo mortale”, così l’Academie française si è espressa a proposito della scrittura inclusiva. Questo giudizio la sorprende? E cosa ne pensa del dibattito pubblico che è seguito alla sua proposta?
“Non mi sorprende… Sappiamo bene il ruolo che ha avuto nel passato l’accademia nell’istituire la regola per cui “il maschile vince sempre sul femminile”. E anche la sua più recente avversione alla femminilizzazione dei nomi delle professioni. Tuttavia, il ruolo dell’accademia non è quello di dettare delle regole, ma quello di registrare gli usi della lingua. A questo proposito non va dimenticato che la lingua e i suoi usi sono in continua evoluzione. Il dibattito pubblico conseguente alla nostra proposta è particolarmente intenso proprio perché viviamo un momento di transizione: la scrittura inclusiva sta passando da una pratica individuale e militante ad un’azione collettiva e istituzionalizzata.”
Alcune persone sostengono che le modifiche proposte sono difficili da mettere in pratica. Specie nella lettura il punto mediano [·] (es. “gli·le italiani·e”) sarebbe oggetto di distrazione. Perché preferirlo all’asterisco (es. “car* italian*”) o alla chiocciola (es. “car@ ragazz@”) già proposti in altri paesi europei?
“Prima di tutto è opportuno precisare che la scrittura inclusiva non si limita all’utilizzazione del punto mediano. Ci sono altri modi che proponiamo per inserire il femminile nella nostra lingua, come la doppia flessione in uso già nella lingua orale (ad esempio “i dirigenti e le dirigenti di un’impresa”) o l’utilizzo di termini neutri che si riferiscono sia al maschile che al femminile (ad esempio “i quadri di un’azienda”). Il punto mediano costituisce quindi una terza opzione che è del tutto leggibile. Lo dimostrano i lavori di Pascal Gygax sul trattino: l’occhio si abitua già alla seconda volta che incontra il simbolo grafico. Noi abbiamo scelto il punto mediano perché crediamo sia adatto da un punto di vista semiotico, pratico, ergonomico e perfino tecnico. Per saperne di più basta consultare il nostro manuale di scrittura inclusiva scaricabile gratuitamente.”
Secondo lei c’è più bisogno di purificare la lingua francese dalla dittatura del maschile o agire per femminilizzare?
“L’obiettivo della scrittura inclusiva è quello di assicurare un’uguale rappresentanza fra uomini e donne nella nostra lingua. In base ai casi si deve de-mascolinizzare il francese o rendere più femminili certe espressioni sempre con l’obiettivo di un’uguaglianza linguistica. Partendo dalla lingua, l’obiettivo è sempre quello di arrivare a un’uguaglianza nella società.”
I termini che arrivano dall’inglese sono già neutri. In questo caso come ci si comporta?
“Di termini neutri ne abbiamo anche in francese. Si parla di parole ‘épicènes‘, ovvero termini in un certo senso “androgini” che possono rimandare indistintamente sia al maschile che al femminile (ad esempio membre, artiste, ecc.). Queste parole sono molto utili e costituiscono una risorsa essenziale nell’impiego della scrittura inclusiva.”