Se il tentativo riuscisse sarebbe una rivoluzione nella storia della terapia genica. Un gruppo di scienziati statunitensi ha provato, per la prima volta, a modificare i geni di un paziente direttamente all’interno del suo corpo. Il fine è modificare permanentemente il suo Dna, così da curare la patologia metabolica (sindrome di Hunter) della quale soffre Brian Madeux, un 44enne che si è sottoposto all’esperimento a Oakland, in California.
Il responso arriverà fra tre mesi, e la tecnica utilizzata sarà testata anche per altre malattie, tra le quali l’emofilia. La procedura adottata in California è diversa dalla Crispr, il cosiddetto “taglia e incolla” del Dna, introdotto di recente. Il sistema sperimentato su Madeux invece è stato definito “nucleasi delle dita di zinco”. Si tratta di forbici molecolari che cercano e tagliano uno specifico pezzo di Dna. Le istruzioni per intervenire sul Dna sono poste in un virus che viene alterato per non causare infezioni e per portare le informazioni all’interno delle cellule. Miliardi di copie di questo vengono poi iniettate in vena.
Il virus viaggia dunque fino al fegato, dove le cellule usano le istruzioni per costruire le “dita di zinco” e preparare il gene correttivo. Le dita, a questo punto, tagliano il Dna, permettendo così al nuovo gene di inserirsi. Questo poi fa sì che la cellula produca l’enzima che manca al paziente. Il capo dell’equipe che ha in cura Madeux ha specificato che solo l’1% delle cellule del fegato deve essere corretto per trattare con successo la malattia.
“Voglio assumermi questo rischio”, ha affermato il paziente, che proviene da Phoenix in Arizona, con l’auspicio “che aiuterà me e altre persone”. Descritta per la prima volta nel 1917 dal professor Charles A. Hunter, la sindrome che porta il suo nome è una rara alterazione metabolica congenita dell’organismo, che fa parte dell’eterogeneo gruppo delle malattie da accumulo lisosomiale. Si tratta di una patologia rarissima: studi epidemiologici hanno infatti stimato tra 1500 e 2000 il numero di persone affette; mentre l’incidenza è di circa 1:100.000.
La sindrome di Hunter è una patologia complessa, in quanto multiorganica e multisistemica. Alla nascita i bambini sono normali, ma l’esordio dei sintomi avviene generalmente tra i due e i quattro anni. Il quadro clinico varia da forme lievi a gravi e l’aspettativa di vita va dalla prima o seconda decade di vita fino alla sesta. Le manifestazioni cliniche più caratteristiche della sindrome di Hunter sono: macrocefalia, ritardo mentale, disturbi dell’umore e del carattere che comportano un’aggressività anormale.