La Catalogna ha il fiato sospeso. Oggi alle 18 avrà luogo l’atteso discorso del presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, in cui è previsto che riconoscerà di fronte al parlamento catalano i risultati del referendum dello scorso primo ottobre, dichiarato illegale dal governo di Madrid. Abbiamo ascoltato sul tema Marco Olivetti, professore ordinario di Diritti e libertà fondamentali all’università Lumsa di Roma.
Quali potrebbero essere le conseguenze, se davvero prevarrà la linea dura scelta dalla Catalogna?
«La spirale di radicalizzazione delle posizioni del governo catalano rende la dichiarazione di indipendenza una possibilità concreta ma non sarebbe la scelta giusta. Il consenso indipendentista è limitato, probabilmente non maggioritario e la soluzione preferibile sarebbe una commissione di mediazione più che un’azione repentina».
Di questa stessa idea è anche la sindaca di Barcellona Ada Colau, che si è unita alle manifestazioni “bianche” indette sia nella capitale catalana che in quella spagnola nei giorni scorsi, al grido di “Hablamos?” (Parliamo). Con lei otto Nobel per la Pace, tra cui Adolfo Pérez Esquivel, Rigoberta Menchu e Jose Ramos-Horta.
In molti, sia cittadini che uomini politici, auspicano una soluzione temperata e non lo scontro aperto.
«Quali che siano le mosse degli attori, nell’immediato cambierebbe ben poco – dice ancora Olivetti – anche una dichiarazione unilaterale di indipendenza non sarebbe una via di fuga a breve termine. Anche la conferenza episcopale spagnola sostiene la riapertura di uno spazio di dialogo. Ma le posizioni sono addirittura inconciliabili e sembra improbabile un netto passo indietro da parte del governo catalano. Altrettanto impossibile è l’accettazione passiva del governo Rajoy, il che esclude entrambe le soluzioni. C’è da chiedersi se l’estremista Puigdemont e il partito anarco-comunista CUP siano disposti a lasciare spazio alla parte moderata, che pure esiste. Il compromesso resta di estrema difficoltà».
Se dunque le posizioni catalane restassero quelle finora proclamate, il leader spagnolo Mariano Rajoy, che da giorni parla apertamente di “golpe”, potrebbe anche far arrestare Puigdemont.
«Quel che è più probabile invece, trovandoci di fronte ad un governo attendista come quello del premier spagnolo, è che la dichiarazione non trovi alcun seguito effettivo. Resterà un pezzo di carta. Con l’articolo 155 della Costituzione, Madrid potrebbe destituire il governo catalano ed indire nuove elezioni o persino sospendere momentaneamente l’autonomia regionale catalana. Il carcere per Puigdemont sarebbe legalmente giustificato, ma sarebbe anche una spettacolarizzazione non necessaria che rischierebbe di animare ancor più le frange radicali».
Resta ancora silente l’Unione europea, dopo le iniziali dichiarazioni a sostegno del governo spagnolo.
«Per l’UE non esiste altro che il governo di Madrid, così si spiega il silenzio. Non stiamo parlando di due entità riconosciute, ma di un governo effettivo e di uno secessionista, irrilevante per l’Unione. Le dichiarazioni necessarie sono state già fatte: il processo indipendentista è ingiustificato, privo di una sufficiente base di consenso e del tutto fuori dalla legalità costituzionale».