All’immediata vigilia nessuno dubita più. Sarà questa la settimana decisiva per la riforma elettorale, il cosiddetto Rosatellum, proposta dal Partito Democratico. La legge, che prende il nome dal capogruppo Pd alla Camera Ettore Rosato, è una sorta di Mattarellum ‘rovesciato’, un mix tra maggioritario e proporzionale ma dove la quota di proporzionale la fa da padrona: 64% di listini plurinominali a fronte del e 36% di collegi uninominali.
La commissione ha dato mandato al deputato Emanuele Fiano di riferire in Aula sulla proposta, martedì 10 ottobre alle 15. A favore della legge, in commissione, hanno votato PD, Forza Italia, Lega, Alternativa Popolare, Ala, Direzione Italia, Scelta civica, Civici e innovatori, mentre hanno votato contro Movimento 5 Stelle, Fratelli d’Italia, Sinistra italiana, MDP e Alternativa libera.
Oggi il termine ultimo per presentare e depositare gli emendamenti, che dovranno però prima passare il vaglio di ammissibilità della presidenza della Camera. Poi inizierà il percorso che forse vedrà alla luce la nuova riforma elettorale.
Da regolamento i tempi risultano essere contingentati. Si riprendono i lavori parlamentari sospesi nel mese di giugno quando il Tedeschellum venne affossato dai voti segreti. A meno di colpi di scena, che nessuno comunque esclude, si prevede il via libera definitivo di Montecitorio entro giovedì o al massimo venerdì. Da qui il testo passerà a Palazzo Madama, dove prima sarà esaminato dalla Commissione affari costituzionali.
Il tutto si intreccerà con l’inizio della sessione di bilancio, il che farebbe slittare al mese di dicembre il voto finale al Senato, dove l’iter sarà meno tortuoso perché il regolamento interno non prevede la possibilità di voto segreto. Una volta approvato il testo anche al Senato non sarà però possibile tornare alle urne con la nuova legge elettorale. Entro 30 giorni dall’entrata in vigore della nuova legge il governo dovrà infatti disegnare i collegi uninominali e plurinonimali della Camera e del Senato, previo parere delle Commissioni parlamentari. Rispetto alla proposta originale sono state approvate alcune modifiche.
A differenza del Mattarellum, in cui c’erano due schede, qui è prevista una scheda unica nella quale il nome del candidato nel collegio è affiancato dai simboli dei partiti che lo sostengono. Non è consentito il voto disgiunto.
Nella nuova riforma elettorale il 36% dei seggi viene assegnato con un sistema maggioritario basato su collegi uninominali, il 64% viene assegnato con criteri proporzionali. Resta la soglia di sbarramento è al 3% per le singole liste e al 10% per le coalizioni a livello nazionale sia alla Camera che al Senato. Tuttavia rispetto al testo base le pluricandidature sono salite da 3 a 5.
È stato approvato un emendamento che dimezza il numero di firme necessario per candidarsi alla Camera (e anche al Senato, nel caso il candidato si presenti in tutte le regioni); è stato approvato un emendamento che esenta i gruppi formati prima del 15 aprile 2017 dalla raccolta firme (la cosiddetta norma “salva MDP”).
Non è passata, in commissione Affari costituzionali alla Camera, la norma che impedisce la presentazione di una lista elettorale guidata da un capo incandidabile, in base all’applicazione delle norme della legge Severino. La norma ribattezzata anti-Berlusconi, è stata presentata con un emendamento dal M5S che la commissione ha respinto.
Non è comunque scontato che tutto vada secondo le previsioni. Il regolamento della Camera autorizza il voto segreto su emendamenti e articoli delle leggi elettorali (mentre il Senato lo impedisce). Una manna per i franchi tiratori che, protetti dall’anonimato, volessero impallinare il provvedimento.
«Quando si tratta di leggi elettorali, a voto segreto esplode il personalismo più assoluto – spiega Rosato – tutti coloro che temono di venire penalizzati da un nuovo sistema e di essere avvantaggiati dal precedente proveranno ad affondarlo».