L’ultima ballata di Tom Petty ha la tristezza del commiato improvviso. La sua voce nasale e l’accento forte del sud che hanno reso inconfondibile il rocker di Gainesville risuoneranno adesso solo nei numerosi brani rimasti incisi. Petty si è spento ieri nell’ospedale di Santa Monica, in California dopo essere stato trovato privo di sensi due giorni prima nella sua abitazione.
Questione di cuore – A volte la vita è beffarda. A portare via a 66 anni il leader degli Heartbreakers (“gli spezzacuori”) è stato proprio un attacco cardiaco. Il cantante è stato trovato privo di sensi nella sua casa di Malibù. Trasportato a Santa Monica, le sue condizioni sono apparse fin da subito piuttosto critiche. Il sito di gossip Tmz, piuttosto popolare negli Stati Uniti, ha ipotizzato che siano state staccate le macchine che lo tenevano in vita dopo che era stata dichiarata la fine di ogni attività celebrale, ma il personale dell’ospedale non ha confermato.
Gli esordi– Tom aveva cominciato guardando Elvis Presley. Alla fine di un suo concerto si era detto “Questo è il lavoro che voglio fare da grande”. Aveva iniziato quindi a mettere in piedi le prime band: i Mudcrutch, con cui incidono un solo singolo, Depot Street. Poi nel 1976 gli Hertbreakers, fondati insieme all’amico chitarrista Mike Campbell. Il successo arriva tre anni dopo con l’album Damn the torpedoes, un bel mix di classicità, suoni sperimentali e un accenno di punk. Poi quando incidi brani come Don’t do me like that e Refugee tutto viene più facile.
Le collaborazioni– Tra i suoi punti di riferimento Bob Dylan, i Beatles e Neil Young. Un rock dai toni epici e new wave, ma capace di raccontare anche grandi temi come l’amore, il destino e la speranza. A metà anni ’80 la svolta, dal punto di vista sia commerciale che artistico. Da una parte le affermazioni con brani come Free Fallin, Fool Moon Fever e I won’t back down (le ultime due registrate con Ringo Star e George Harrison), dall’altra la collaborazione con i Traveling Wilburys, la super band creata da Dylan e Harrison. Oltre ai due pilastri, il gruppo poteva contare anche su Jeff Lynne e Roy Orbison. Nella tarda serata di ieri sono arrivate le parole di un commosso Bob Dylan: «È stato un grandissimo artista, pieno di luci. Un amico che non scorderò mai».