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HomeCultura Roma, Sessantotto in mostra: anno di rivolte e progresso alla Galleria Nazionale

Roma, Sessantotto in mostra
anno di rivolte e progresso
alla Galleria Nazionale

Esposte le opere di oltre 50 artisti

su società, politica e ribellioni

di Gloria Frezza02 Ottobre 2017
02 Ottobre 2017

«Era lo spirito santo che soffia dove vuole, era la decostruzione avant la lettre, erano divorzio, aborto, cultura, femminismo, pansessualismo, perdita del padre, tramonto della scuola, eruzione violenta, disprezzo anticulturale». A parlare è Giuliano Ferrara e quello che sta descrivendo è l’anno 1968. Con l’arrivo del 2018 saranno passati 50 anni dai 365 giorni più turbolenti della storia moderna italiana.

Per celebrarli, la Galleria d’Arte Moderna di Roma inaugurerà domani la mostra “È solo un inizio 1968”, visitabile fino al 14 gennaio del prossimo anno. Il titolo, slogan dell’insurrezione del Maggio francese (Ce n’est qu’un début), è un invito da parte della curatrice Ester Coen a guardare a tutto ciò che, grazie al Sessantotto, ha preso vita sedimentandosi poi negli anni a venire.

Politica, creatività e società saranno descritte dall’arte febbrile di quel tempo. La land art, il minimalismo, l’arte povera e le tante correnti concettuali sono solo alcuni degli input che questa mostra offrirà al visitatore. Da segnalare il capolavoro di Luciano Fabbro, “L’Italia rovesciata”, che vede ritratto lo stivale capovolto e tenuto all’ingiù da una corda stretta sulla punta.

«Il Sessantotto è stato il punto più alto del progresso umano, e il punto di svolta oltre il quale l’umanità doveva compiere un salto che non fummo capaci di fare» dice Franco Berardi Bifo, scrittore e attivista culturale. Tra le sale della Galleria questo cortocircuito di volontà e rivolte sarà espresso, sostiene la curatrice Coen, seguendo il motto di Gilles Deleuze: “Lo abbiamo sempre saputo che sarebbe finita male”.

Vito Acconci, Carl Andre, Merce Cunningham, Sol LeWitt, Mario Merz e tanti altri artisti tesseranno la trama sottile di uno degli anni più significativi per l’Italia così com’è ora. «Eravamo tutti molto giovani, – conclude Massimiliano Fuksas, architetto e sessantottino – l’eredità sta nel riconsegnare il presente ai giovani».

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