Paolo Martino, docente di linguistica generale e glottologia all’Università Lumsa sottolinea come negli ultimi anni il livello dell’istruzione degli studenti italiana è calato.
Dai dati Ocse 2017 si legge che solo il 18% degli iscritti all’università completa gli studi e che solo il 20% degli italiani va oltre la lingua di base. Questi dati trovano riscontro nella sua esperienza di docenza?
Il problema è complesso. Dobbiamo pensare alle riforme infinite della scuola che sono state fatte in questi ultimi decenni e che, sostanzialmente, si sono risolte in un abbassamento del livello della formazione.
Vedo le varie coorti di studenti che arrivano all’università e riscontro che 20-30 anni fa il livello era migliore. Il problema comincia dalle scuole. Una delle ultime riforme, “La Buona Scuola” del 2015, prevede fondamentalmente un insegnamento sulla base delle “tre i”: inglese, internet, impresa. Privilegiando, in maniera io credo eccessiva, l’inglese a discapito degli altri insegnamenti e soprattutto della lingua italiana. Questo nasce secondo me da un sentimento di inferiorità nei confronti delle novità che arrivano dall’estero. L’italiano, in tale contesto, finisce per essere considerato un insegnamento di secondo ordine.
Secondo lei da cosa dipende questo declino?
Nei documenti del Ministero si parla con slogan della Scuola smart, della scuola 4.0 fondata sulla digitalizzazione. Usare questa terminologia in materia di scuola suggerisce la necessità di “disinstallare” il precedente modello, che però non è tutto da buttar via. La scuola ha una tradizione secolare. A mio parere vanno tutelati il valore e la dignità degli insegnati.
Cosa pensa delle iniziative promosse da giornali e televisione su promuovere delle collane e dei programmi dedicati alla lingua italiana?
Le collane divulgative sono utili, ma non si tratta di un fenomeno recente. Queste collane ci sono sempre state, così come ci sono ottimi manuali e non credo che la carenza sia lì. È piuttosto un problema di impostazione della formazione scolastica. Secondo me si dà un’attenzione insufficiente non solo all’italiano, che è fondamentale, ma alla linguistica in generale, alle scienze del linguaggio. Un fenomeno che si inquadra in una mortificazione delle materie umanistiche: i licei classici sono in crisi, lo studio della filosofia, delle letterature è in declino, e tutto questo ha delle conseguenze. Non è che voglio contrastare le tecnologie, ma di per sé i nuovi mezzi di comunicazione non apportano dei miglioramenti se non si trasmettono dei valori di base.