È festa in Kurdistan. Sono soltanto dati parziali, ma circa il 93% degli aventi diritto avrebbe votato il Sì nel referendum sull’indipendenza voluto dal presidente della regione Masoud Barzani. Lo rivelano le autorità di Erbil, che segnalano anche un’affluenza del 78%, ossia più di cinque milioni di votanti. I risultati finali saranno resi noti entro domani sera.
Le reazioni. “Le autorità di Baghdad non intendono discutere con Erbil dei risultati del referendum perché è incostituzionale”, ha affermato il premier Haidar al-Abadi, secondo il quale i curdi istigherebbero il caos e le sommosse all’interno del paese. Masoud Barzani, dal canto suo, ritiene che il referendum non sia vincolante, ma dia la possibilità di avviare un negoziato con Baghdad per una vera scissione del Kurdistan. Come reazione sui mercati, il prezzo del petrolio risulta già in rialzo. Gli Stati Uniti approfittano dell’occasione per rinnovare il sostegno al popolo curdo, ma evidenziano una maggiore instabilità in Medio Oriente a causa del voto. Turchia e Iran, ad esempio, hanno già minacciato di chiudere i confini e sanzionare le esportazioni di petrolio della regione. Il loro timore è che le minoranze curde di questi paesi aumentino le rivendicazioni.
Gli antefatti. Il Kurdistan è una regione autonoma del nord dell’Iraq e i curdi sono il quarto gruppo etnico più grande del Medio Oriente. Solo in Iraq, rappresentano il 20% della popolazione e sono per lo più musulmani sunniti. Nel 1991 il Kurdistan conquistò la sua autonomia regionale dopo anni di repressione. Il referendum per la sua indipendenza era stato annunciato il 7 giugno scorso. Sin da subito, l’Iraq e i paesi confinanti si sono opposti: il 18 settembre al-Abadi ne aveva anche formalmente richiesto la sospensione. Anche le Nazioni Unite hanno espresso perplessità sulla legalità delle votazioni, temendo possibili disordini.