«In alcuni Paesi dell’Eurozona sono stati fatti passi avanti per ridurre la disoccupazione giovanile e col consolidamento della ripresa diminuirà ulteriormente». A parlare è il presidente della Bce, Mario Draghi, in un discorso al Trinity College di Dublino sul tema della disoccupazione giovanile. «Ma per affrontare le cause strutturali della disoccupazione giovanile, sono necessarie forme di protezione omogenee tra i lavoratori, accordi di lavoro flessibili, programmi di formazione professionale efficaci, un elevato grado di apertura del commercio e sostegni per ridurre i costi sociali della mobilità».
Draghi ha aggiunto che i giovani non vogliono vivere con sussidi, esortando i governi a rispondere alle loro richieste e a creare un ambiente in cui le loro speranze possano avere un’occasione. Sostenendo che questo genere di disponibilità sarà una risorsa per l’Europa e per tutte le istituzioni democratiche.
«Il Pil dell’Eurozona è in crescita da 17 trimestri consecutivi, creando nel complesso oltre 6 milioni di posti di lavoro». Dopo il 2013 la disoccupazione giovanile è scesa dal 24% al 19 nel 2016, ma è ancora troppo alta rispetto al momento d’inizio della crisi economica, nel 2007. «Tuttavia – ha insistito Draghi – il 17% dei giovani tra i 20 e i 24 anni non studia, non lavora e non fa alcun tipo di formazione», chiamando in causa i NEET (not in education, employment or training).
«La segmentazione del mercato del lavoro e una scarsa formazione professionale sono tra i principali motivi dell’elevato tasso di disoccupazione giovanile persistente in diversi Paesi colpiti gravemente dalla recessione come Italia, Grecia, Spagna e Portogallo». L’esempio da seguire, ha concluso il presidente della Banca Europea, sarebbero Germania e Austria con programmi di formazioni efficaci che rendono un servizio veramente utile anche ai giovani più svantaggiati.