“Contrarre la malaria in Italia è una casualità. Si tratta di episodi rari, difficili da esaminare”. Lo affermano gli avvocati Mauro e Guido Anetrini, che difendono due dei sette medici imputati a Torino nel processo per la morte, nel 2010, di un ingegnere della Goodyear di 58 anni. La vicenda, che andrà a sentenza a ottobre, ricorda per certi versi quella della bambina morta a Trento.
“In ospedale mi dissero che mio marito stava morendo e allora gli feci impartire l’estrema unzione”, racconta la vedova: “Poi, lo stesso giorno, all’improvviso sgranò i suoi grandi occhi azzurri e diventò paonazzo. Accorsero medici e infermieri, lo portarono in rianimazione e poi mi spiegarono che a colpirlo non era stato un linfoma, come avevano creduto: era malaria”.
Il processo vede otto medici imputati di omicidio colposo. Secondo l’ipotesi al vaglio dei magistrati, l’uomo si ammalò nel 2009 per la puntura di una zanzara rimasta nel cavo di uno pneumatico proveniente da un Paese africano. “Arrivavano da Germania, Polonia e Slovenia, tutti Paesi non endemici – ribattono i legali dell’azineda – E l’uomo non lavorava con gli pneumatici, ma si occupava di formazione del personale”. Secondo l’accusa il paziente non fu sottoposto a un’anamnesi completa e tempestiva. L’iniziale diagnosi di linfoma era sbagliata e, secondo i difensori, il paziente non fu sottoposto a una anamnesi completa e tempestiva.
“Ricorderò per sempre – ha raccontato la vedova – gli occhi tristi dell’infettivologo dell’ospedale quando mi disse: signora, non sono intervenuto prima perché mi hanno chiamato troppo tardi”.