“Se dovessi scegliere un aggettivo per il Governo, direi: rassicurante”. Così il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha definito qualche settimana fa il suo esecutivo ai microfono di ”Domenica in”. Ora, tirando le somme alla vigilia dei primi 100 giorni del proprio esecutivo, Gentiloni sembra uscire dall’ombra del suo predecessore.
Tra due giorni ci sarà un giro di boa importante, a più di tre mesi da quando Matteo Renzi, ammettendo di “aver straperso il referendum”, si dimise lasciando spazio ad un esecutivo-fotocopia rispetto al proprio. A distanza di tempo però, il governo Gentiloni sta acquistando la propria fisionomia. In questi 100 giorni l’esecutivo ha preso due decisioni che il precedente governo, molto sensibile al consenso, aveva lasciato in standby: il 23 dicembre, ha varato il decreto salva-risparmio per salvaguardare i correntisti più esposti e le banche a rischio bancarotta, mossa che ha generato una valanga di critiche poiché considerata un “soccorso ai banchieri”. Erano trascorsi appena 9 giorni dalla fiducia in Parlamento e quella decisione fulminea era stata imposta da un imperativo finanziario: non si poteva attendere oltre, dopo i ripetuti rinvii da parte del Governo precedente. Il 10 febbraio il Consiglio dei Ministri, in questo caso sfidando i detrattori dei Cie, ha approvato le linee guide dei provvedimenti sui migranti voluti dal ministro dell’Interno Marco Minniti.
Negli ultimi giorni il decisionismo del Premier, definito da molti “soft”, ha portato il Governo ad abolire per decreto i voucher ed il codice appalti, tentando l’ultima mossa per scongiurare il referendum voluto dalla Cgil. Appoggiato da Renzi (che prevedeva una rottura con l’ala più a sinistra in vista delle amministrative), ha avuto la patata bollente di dover fare un decreto legge per accelerare i tempi, attirando critiche da associazioni imprenditoriali e artigianali. Proprio sul rapporto con Renzi si giocheranno i prossimi mesi, sulla discontinuità o meno dal modello del pugno duro dell’ex premier. I prossimi 200 giorni potrebbero rivelarsi più complicati di quelli appena passati, con il peso del mancato consenso popolare che torna a farsi sentire. Questo almeno è il monito del renziano Giorgio Tonini, presidente della Commissione Bilancio del Senato: “Questo governo ricorda quello di fine legislatura di Amato nel 2000: guida autorevole, manovra un po’ cedevole, rinvio dei nodi più importanti. In assenza di un chiaro mandato popolare ad inizio legislatura, la vittoria di Renzi alle Europee aveva consentito una simulazione di quel mandato. Ma ora siamo tornati al dualismo partito-governo, il potere si sposta sul partito e, come nella Prima Repubblica, i governi mediano. Gentiloni fa un lavoro egregio, equilibrato, saggio, ma persistendo l’assenza di un chiaro mandato popolare, non sarà semplice gestire la fine della legislatura”.