Il New York Times lancia un’iniziativa che va nella direzione esattamente opposta rispetto alle prime mosse messe in atto da Donald Trump. Mentre dallo studio ovale della Casa Bianca il presidente degli Stati Uniti dà ordine ai reparti di polizia ICE di effettuare i primi raid per deportare i migranti, lo storico quotidiano della Grande Mela ha dato il via a un’inchiesta che intende riflettere sulle radici stesse della nazione, attraverso una serie di interviste a coloro che lottano per diventare americani. Una vera e propria piattaforma online, dove afro-americani, latinos sud-americani, sino-americani, e tutti coloro che hanno un trattino nella definizione della loro origine possono prendere la parola, raccontare la loro storia, la loro lotta per essere considerati parte della nazione.
“La nazione del trattino” si intitola l’inchiesta, sull’edizione online del quotidiano (questo il link: http://nyti.ms/2lpEQhJ). Un’indagine che vuole porre domande alla nazione, interrogarsi su cosa vuol dire oggi essere americani, capire qual è l’identità della nazione statunitense. «Quando ero all’asilo – racconta Michaela, pelle chiara, origine afro-americana – il mio giaccone preferito, che adoravo, era un giaccone che aveva sul retro la stampa di una grande bandiera americana. La mia migliore amica era una bimba bianca. Andavo a casa sua a giocare, ma quando la madre scoprì che la mia famiglia era una famiglia nera non fui più invitata».
Mallika invece è una nativa americana. E racconta: «Il momento in cui mi sono sentita più americana? La notte in cui Obama è stato eletto: in quel momento ho sentito un senso di inclusione. Non mi piace essere considerata una indiana-americana. Non mi piace la definizione. Perché io sono americana. Una mattina, dopo l’undici settembre – avevo nove anni – uscendo di casa con la mia famiglia più di una volta ci è stato gridato contro che eravamo terroristi. E nessuno, tra tutta la gente che era in strada, ha detto una sola parola. Non me lo dimenticherò mai».