Camicie e bretelle colorate, capelli arruffati e barba incolta. Una parlata lenta, quasi ipnotica, ma sofisticata, di chi ha alle spalle saggezza e cultura. È morto ieri a 85 anni Massimo Fagioli, psicanalista controverso, da molti ricordato come una delle più grandi menti del suo tempo. “Un genio assoluto”, dice chi lo ha conosciuto. Nato a Monte Gilberto, in provincia di Ascoli Piceno, ha dedicato la sua vita alla psicanalisi e alle teorie antifreudiane, che definiva “fregnacce”.
Dopo la laurea in neuropsichiatria ha iniziato a praticare la professione nei manicomi, prima a Venezia, nell’isola di San Clemente, e poi all’ospedale psichiatrico di Padova. Erano gli anni Sessanta, quando quelle ricerche lo hanno portato in Svizzera, nella clinica Bellevue di Binswanger a Kreuzlingen. Tornato in Italia poi, si è duramente scontrato con la Società italiana di psicoanalisi, decidendo infine di fondare la sua scuola personale.
Al 1970 risale il suo testo fondamentale, “Istinto di morte e conoscenza”, tradotto in diverse lingue e che gli ha fornito notorietà negli ambienti scientifici internazionali.
Sabato 18 febbraio, dalle 10, l’ultimo saluto nella capitale in via Roma Libera 23, dove per anni Massimo Fagioli ha tenuto i suoi seminari di Analisi collettiva, le affollate e controverse sedute di psicoterapia di gruppo.