Maggioranze omogenee tra Camera e Senato: è questo quanto deve garantire la legge elettorale. Lo ha stabilito ieri la Consulta, con la sentenza n. 35/2017, mediante la quale ha chiarito la parziale illegittimità dell’Italicum. Un’irregolarità decretata lo scorso 25 gennaio e che riguardava sostanzialmente due punti: il ballottaggio e la scelta per i capilista pluricandidati.
La sentenza, siglata da Paolo Grossi – presidente della Corte costituzionale – e da Nicolò Zanon –giudice relatore – è stata esaminata dalla Consulta, e presto pubblicata sulla Gazzetta ufficiale, dove acquisterà la sua efficacia. Uno dei passaggi fondamentali, quindi, è stato quello di ribadire che la Costituzione non impone al legislatore di creare, per le due Camere, sistemi elettorali uguali. Ma, qualora venissero utilizzati sistemi differenti, questi non dovranno ostacolare le formazioni di maggioranze parlamentari paritarie. Al fine di assicurare rappresentanza e governabilità.
Per quanto riguarda il premio di maggioranza, «la migliore legge del mondo» – come sosteneva l’ex premier Renzi – attribuisce 340 seggi (alla Camera) alla lista che ha ottenuto il 40% dei voti. Una soglia che, a detta della Corte, non è irragionevole, in quanto bilancia i principi costituzionali della necessaria rappresentatività.
Sul ballottaggio, invece, la Consulta ha affermato che, così come ideato dalla versione originale dell’Italicum, esso porterebbe a una lesione, poiché il premio concesso al secondo turno resterebbe un premio di maggioranza e non diverrebbe uno di governabilità. Visto che, la seconda fase prevista nell’Italicum, regala al partito che vince i 340 seggi, a prescindere dalla soglia minima di voti.
I capilista bloccati, comunque, sono stati definiti legittimi. Perché, se nel Porcellum le liste erano interamente bloccate – e dunque incostituzionali – nella legge elettorale in questione è solo il capolista ad essere sbarrato. L’elettore, quindi, è libero di esprimere le due preferenze.
Infine, sulle multicandidature, la Consulta si è espressa positivamente, anche se è caduta la possibilità del candidato di decidere, una volta chiuse le urne, in quale collegio essere eletto. Il criterio per la scelta, per ora, resta quello del sorteggio, anche se toccherà al legislatore sostituirlo con un’altra regola più adeguata e rispettosa della volontà dell’elettorato.