Nell’immaginario collettivo, le pensioni e i vitalizi dei parlamentari sono sinonimo di “rendita a vita” e rappresentano uno dei temi più controversi del panorama politico italiano. La questione resta al centro del dibattito, soprattutto dopo l’ultima polemica scaturita da un sms mandato dall’ex premier Matteo Renzi, lo scorso 31 gennaio, al conduttore di DìMartedì Giovanni Floris. «Per me votare nel 2017 o nel 2018 è lo stesso. L’unica cosa è evitare che scattino i vitalizi, perché sarebbe molto ingiusto verso i cittadini. Sarebbe assurdo».
Questo sms, come emerge da un recente studio di Openpolis, contiene tuttavia un errore: a fine 2011 il governo Monti ha introdotto delle modifiche in merito ai vitalizi parlamentari che, hanno lasciato il posto alle regolari pensioni, percepite in egual modo come tutti i dipendenti della pubblica amministrazione. La differenza è enorme: rispetto al precedente ordinamento, la cifra da percepire mensilmente si basa su quanto si è versato negli anni e quindi non è più di carattere retributivo, bensì contributivo.
Sempre secondo le regole attuali, percepiscono la pensione tutti i deputati e i senatori al compimento dei 65 anni d’età, ma solo dopo aver completato i 5 anni di mandato. Sul punto, il regolamento di Camera e Senato, prevede che basterà raggiungere 4 anni, 6 mesi e 1 giorno per maturare la pensione da parlamentare.
Attualmente in carica ci sono 402 deputati e 193 senatori che ancora non hanno maturato il diritto ad avere la pensione. In totale sono circa il 63% degli eletti, percentuale tutto sommato alta a causa dei tanti neo-parlamentari alla prima legislatura. Un dato rilevante, dovuto alle novità di liste come Movimento 5 stelle, Scelta civica e Sinistra ecologia e libertà, o al forte ricambio in partiti numerosi come il Partito democratico. In particolare, nessuno dei parlamentari che fa riferimento a Beppe Grillo, ha maturato la pensione sia alla Camera che al Senato.