Muore a 84 anni lo scrittore e saggista croato Predrag Matvejevic, ricoverato da tempo nell’ospedale di Zagabria. Da sempre attento e impegnato sul fronte dei diritti umani, ha vissuto in Italia dal 1994 al 2008, dove ha insegnato Slavistica all’Università La Sapienza di Roma. L’allora presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro gli attribuì la cittadinanza italiana e il titolo di Commendatore dell’Ordine della Stella della Solidarietà, grazie anche alla spinta di numerosi intellettuali italiani, primo tra tutti Claudio Magris. Proprio lui lo aveva segnalato, insieme ad un nutrito comitato di giornalisti italiani, come possibile vincitore del Nobel per la letteratura.
Magris a proposito dello scrittore croato scriveva: «Legge il mondo, la realtà, i gesti e il vociare delle persone, lo stile delle capitanerie, l’indefinibile trapassare della natura nella storia e nell’arte, il prolungarsi della forma delle coste nelle forme dell’architettura, i confini tracciati dalla cultura dell’ulivo, dall’espandersi di una religione o dalla migrazione delle anguille». Perché al centro del discorso letterario di Matvejevic c’è un territorio senza confini, né fisici né politici. Quei confini che lui ha vissuto sulla propria pelle da esiliato durante il conflitto nell’ex Jugoslavia, scoppiato proprio un anno dopo l’uscita della sua opera magna “Breviario mediterraneo”. La guerra lo porta a perdersi per l’Europa, tra Francia e Italia, mentre la sua Mostar cadeva a pezzi sotto ai bombardamenti.
Perseguitato poi dalle autorità croate, condannato a cinque mesi di prigione nel 2005 da un tribunale di Zagabria. Aveva scritto, nel 2001, un saggio in cui accusava alcuni scrittori di essere stati guerrafondai durante le guerre jugoslave. Li chiamò “I nostri Talebani” e l’establishment gli si rivoltò contro. Processato per calunnia e diffamazione accettò la condanna, rinunciando all’appello: “Non voglio riconoscere l’autorità di chi ha emesso questa sentenza”.
Era un uomo convintamente europeo, di quell’Europa di lingua tedesca (partecipava spesso infatti al Festival della Mitteleuropa), ma allo stesso tempo riusciva a ricondurre tutto ad una base comune tra i popoli: il Mar Mediterraneo, culla di civiltà e grado zero di un’Europa unita.
“Il Mediterraneo nasce, cambia e talvolta muore con i suoi venti, umili o prepotenti”. Questo era il nostro mare per Predrag Matvejevic, che sembrava stridere con l’idea di “Europa maledetta”, altra sua opera fondamentale. Era uno scrittore che attraverso la sua narrazione “geopoetica” poteva farti sentire al centro dei venti che soffiano sulle coste greche o sentir risuonare, attraverso le sue pagine, le antiche preghiere della sera che si recitavano nel piccolo monastero di San Nicola nella cittadina dalmata di Traù, a un passo da Spalato.
La bellezza risplendeva nel suo Breviario mediterraneo, tanto quanto si è incupito il suo tono col passare degli anni. È suo il neologismo “democrature”, creato per definire quelle storture governative che intravedeva con amarezza nell’Europa di oggi, apparentemente così liberale e socialdemocratica. Il suo sguardo lucido, la sua prosa fulminante e inattesa non ha ricevuto forse i meriti che avrebbe meritato. Oggi lo salutiamo stringendo nelle nostre mani un Mediterraneo che ci appartiene ed un’Europa ancora da costruire.