Sono scritti su sacchi di iuta, carta igienica e ritagli di stoffa. I loro autori sono stati inghiottiti dall’oblio del più oscuro periodo della storia umana. Sono difficili da decifrare e spesso interrotti a metà, ma è musica. Si tratta dei quasi 8000 spartiti della collezione di Francesco Lotoro, raccolti nei campi di concentramento dopo quasi vent’anni di ricerche. Questo pianista 52enne di Barletta voleva aiutare a ritrovare il suono di un periodo che la storia ha reso muto, pur di mettere a tacere anche il dolore. Dopo ogni ritrovamento le note trovavano esecuzione grazie alla sua Orchestra di Musica Concentrazionaria, da Roma a Los Angeles, da Dachau a Bruxelles.
Ora Lotoro è diventato protagonista di The Maestro, un docu-film di Alexander Valenti con DocLab, che racconta la sua toccante attività di questi anni. Dalle prime segnalazioni, poi durante i lunghi viaggi di ricerca, fino ai concerti sofferti ma liberatori. «Per dimostrare che nulla, nemmeno l’Olocausto, può spegnere la creatività e la vitalità dell’uomo.» In questa 72esima Giornata della Memoria, The Maestro verrà proiettato in numerose scuole italiane. I ragazzi vedranno una nuova testimonianza, più intima e al contempo più dirompente. Sarà come ascoltare gli autori parlare di quello che accadeva nei lager.
Hans Van Collem per esempio, era prigioniero nel campo di Westerbork. Usava le coltivazioni di patate come un pentagramma e chiedeva ai compagni di memorizzare le note scritte a terra. Compose così il Salmo 100 per voci maschili, che veniva cantato di nascosto nelle latrine ogni sera. Mentre il polacco Aleksander Kulisiewicz, che aveva una memoria prodigiosa, deportato a Sachsenhausen (Berlino) si era offerto di imparare tutti i canti composti dai suoi compagni di prigionia, perché non andassero persi. Scampato alla morte ne scrisse su carta 764. «È partito tutto da lì – dice Lotoro – quel libro è la mia bibbia. La musica non può morire.»