Qualcosa si è inceppato nella perfetta macchina dell’accoglienza in Germania. L’integrazione dei migranti nel mercato del lavoro tedesco procede a rilento a causa del boom di immigrati. I dati forniti dall’Istituto per il mercato del lavoro e la ricerca professionale (Iab), parlano chiaro: dal dicembre 2015 al novembre 2016 sono state soltanto 34.000 le persone provenienti dagli 8 principali paesi di emigrazione non Ue a ottenere un’occupazione e ad inserirsi nel mercato del lavoro. Risultano essere 406.000 i profughi registrati presso i job center e le agenzie per il lavoro. Di questi, 160.000 sono dichiarati inoccupati.
Non sono rosee nemmeno le previsioni di Joachim Möller: «La maggior parte dei profughi non troverà lavoro nei prossimi due anni. Se in 5 anni ci riuscirà il 50% potremo considerarlo un grande successo». Da qui l’invito ad un incremento degli investimenti per l’integrazione.
Proprio l’altro giorno la cancelliera Angela Merkel aveva annunciato un passo indietro della Germania sulle politiche di accoglienza dei migranti. L’arrivo nel paese di quasi 900.000 richiedenti asilo, in fuga soprattutto dalla Siria, ha avuto un forte impatto sulla società dividendo l’opinione pubblica tedesca. Incalzata dalle vittorie del partito di destra Alternativa per la Germania, che ha fatto del risentimento popolare contro i migranti il proprio cavallo di battaglia, la cancelliera è stata costretta a fare marcia indietro sulla politica delle frontiere aperte per non perdere ulteriori consensi.
Sono già cominciati infatti i rimpatri collettivi dei migranti a cui i tribunali tedeschi hanno rifiutato di garantire la protezione internazionale. Le cosiddette sammelabschiebungen, ovvero le “espulsioni collettive”, hanno già provocato un’ondata di proteste, culminate in una manifestazione pro-immigrazione all’aeroporto di Francoforte dal quale pochi giorni fa, è ripartito alla volta di Kabul il primo aereo con a bordo 34 migranti afghani.