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una mina vagante per il Pd
l’11 gennaio la Consulta

Il referendum sul Jobs Act
una mina vagante per il Pd
l’11 gennaio la Consulta

di Giulia Turco14 Dicembre 2016
14 Dicembre 2016

Una veduta esterna della Corte Costituzionale a Roma, in una immagine del 29 gennaio 2013. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

L’abolizione del Jobs Act potrebbe mettere in crisi il nuovo governo. Ieri a Roma sono scesi in piazza numerosi manifestanti per lo sciopero generale indetto da Cgil e Uil, contro la riforma del lavoro. I sindacati hanno, inoltre, raccolto 3,3 milioni di firme per il referendum abrogativo della riforma simbolo, insieme a quella costituzionale, del governo Renzi. Il referendum, se approvato, sarà composto da tre quesiti. Gli obiettivi che la Cgil intende raggiungere riguardano il ripristino dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, l’eliminazione dei voucher e il recupero della responsabilità di appaltatore e appaltante, in caso di violazioni nei confronti del lavoratore.

L’Ufficio centrale per il referendum della Cassazione ha già dato il via libera. Ora però, sarà necessario attendere l’11 gennaio, data in cui la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità del quesito stesso. Nel caso in cui venisse approvato, gli italiani saranno chiamati a votare tra il 15 aprile e il 15 giugno e sarà necessario il superamento del quorum del 50% degli aventi diritto. Tuttavia, nonostante l’incognita della Corte e il nodo dell’affluenza alle urne, nella maggioranza Pd crescono i timori. La bocciatura del Jobs Act, infatti, non solo annullerebbe le possibilità di rivincita dell’ex premier, ma comprometterebbe la corsa dell’intero partito alle prossime elezioni, spianando il percorso alle forze di opposizione. Considerato l’alto tasso di sensibilità sociale dell’argomento, è molto probabile che il quorum verrebbe raggiunto. Inoltre, se la proposta della Cgil venisse sostenuta dai 5 Stelle, dalla Lega, dalla minoranza dem, il fronte del No avrebbe molte possibilità di risultare minoritario.

I rischi sono stati esposti ieri mattina da Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro, all’assemblea dei deputati del Pd. «È un problema enorme da non sottovalutare», ha affermato. I Dem al momento non si sentono pronti a sostenere un’eventuale bocciatura. «Dopo la sconfitta del Sì al referendum costituzionale, non è il caso di rischiare un’altra batosta», hanno spiegato fonti vicine a Renzi. Per scongiurare il rischio dunque, ci sarebbe una sola soluzione: andare al voto per le elezioni anticipate in primavera. E per fare ciò, approvare rapidamente una nuova legge elettorale. L’urgenza del rinnovo delle camere, infatti, farebbe slittare il referendum di almeno dodici mesi. Tuttavia le posizioni divergenti in Parlamento fanno pensare a tempi ancora lunghi per la riforma. L’unico fatto certo per ora, è che gli italiani in primavera, per una ragione o per l’altra, saranno chiamati alle urne.

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