«Sono stato felice della mia scelta. In quel mestiere campi davvero se sfondi. Se rimani una mezza sega sei sempre con l’acqua alla gola». Non usa mezzi termini Rinaldo Smordoni, uno dei due giovani sciuscià protagonisti dell’omonimo film di Vittorio De Sica, intervistato da una giornalista de La Stampa. Sono passati 70 anni da quando il produttore Paolo W. Tamburella notò un gruppo di ragazzini che giocava per strada e li invitò a fare il provino per la pellicola. Rinaldo aveva dodici anni e per lui l’occasione fu soltanto un nuovo gioco con gli amici. Invece ottenne il ruolo di uno dei due ragazzini protagonisti della storia. A 70 anni dall’uscita del film, domani alla Casa del Cinema di Roma sarà presentato il documentario “Sciuscià 70”, una testimonianza della realizzazione di tale capolavoro.
«Mi presero subito. Bravura? E che ve devo di’! Con l’altro protagonista, Franco Interlenghi, non andò così. Non sapevano chi prendere, alla fine lasciarono scegliere a me». In base al ragazzino con cui si trovava meglio. Un atteggiamento, quello dei produttori, che si collocava perfettamente nel solco del Neorealismo di cui tutto il film fu impregnato. E che lo fece entrare nella storia: l’Italia vinse il suo primo Oscar, e per la prima volta il premio fu assegnato ad una pellicola non statunitense. Poteva essere il trampolino di lancio per la carriera di entrambi i ragazzini. Lo fu soltanto per Franco Interlenghi. In seguito Vittorio De Sica stesso provò più volte ad assegnare una parte all’altro suo sciuscià, ma Rinaldo rifiutò sempre nuovi ruoli. Aveva già scelto un’altra vita. Ha lavorato come marmista e poi come autista di autobus. «Il cinema è stato una parentesi, non me ne importava niente».
Rinaldo ha ormai 82 anni e ammette di non aver mai amato la popolarità. Ha sempre cercato di nascondere ad amici e parenti la sua presenza in quel film ormai storico. Persino le figlie sono venute a conoscenza della cosa solo grazie ad internet. «Non è come se avessi dimenticato quella vita, ma quasi», conclude.