Stasera alla Prima della Scala la poltrona riservata a Sergio Mattarella rimarrà vuota. I prossimi giorni si preannunciano davvero infuocati per il Presidente della Repubblica, costretto dalla crisi di governo ad annullare tutti gli impegni ufficiali per restare a Roma. Il capo dello Stato si è trovato a dover gestire non solo le dimissioni di Matteo Renzi, ma anche l’incertezza legata alla promulgazione di una nuova legge elettorale. Iter che sarà obbligatoriamente paralizzato fino al 24 gennaio, data in cui è attesa la pronuncia della Corte Costituzionale sull’Italicum.
Renzi ha accettato l’indicazione di rimandare le dimissioni fino all’approvazione della legge di stabilità, in discussione oggi al Senato. Dopodiché salirà nuovamente al Colle per rassegnare le dimissioni. Nelle consultazioni con le varie forze politiche, presumibilmente tra domani e venerdì, Mattarella spingerà per allontanare il voto, chiedendo al governo di garantire la promulgazione di una nuova legge elettorale unica per entrambe le Camere. Per il Quirinale infatti è “impensabile” sciogliere il Parlamento prima di ciò, come si legge in una nota rilasciata al sito online Huffington Post. Considerando che la legge in questione richiederà poi un minimo di 45 giorni per organizzare le elezioni politiche, queste potrebbero tenersi intorno ad aprile. La questione da risolvere è proprio come governare il paese fino ad allora. Un delicato ruolo di arbitro, quello che spetta al Presidente della Repubblica. Una guida mite e silenziosa che però sa essere anche ferma. Mattarella preferirebbe che il governo dimissionario rimanesse in carica per portare a termine la nuova legge elettorale. Ma se Renzi insistesse a dimettersi, dopo la direzione PD di oggi pomeriggio, l’ipotesi più accreditata è la formazione di un governo di responsabilità nazionale, focalizzato su dei ritocchi all’Italicum prima del ritorno alle urne. Ma la decisione sui modi e sulla persona cui affidare tale compito è tutt’altro che scontata.
Anche il Vaticano si è espresso sul momento delicato italiano. Lo ha fatto tramite le parole del Segretario di Stato. Il cardinale Pietro Parolin infatti ieri sera ha manifestato preoccupazione, auspicando però ad una «ricerca dell’unità, pur nella diversità, per costruire il bene comune». Gli ha fatto eco il segretario generale della CEI, mons. Nunzio Galatino, che ha chiesto a tutti di sotterrare «l’ascia di guerra fatta di parole pesanti, tante volte al limite della volgarità».