Aumentano in maniera preoccupante i casi di sequestro di pescherecci italiani da parte delle autorità di Libia ed Egitto. L’ultimo, il più grave, pochi giorni fa, ha avuto come protagonisti due natanti di Mazara del Vallo, su cui libici armati, prima di requisirlo assieme all’equipaggio, hanno addirittura aperto il fuoco. Una “guerra del pesce” che ci contrappone sempre più alle nuove democrazie di questi due paesi mediterranei.
I casi più recenti in Libia. Storicamente, già con i regimi del colonnello Muammar Gheddafi e del presidente Hosni Mubarak, i nostri pescherecci che oltrepassavano i limiti delle acque internazionali per approdare a quelle territoriali dei due stati nord-africani finivano spesso bloccati dalle loro forze di sicurezza. Sconfinamenti in parte inesistenti, utilizzati per impossessarsi di navi e pescato, e in parte veri, dovuti alla grande quantità di pesce lì presente, trascurato da navi da pesca meno organizzate rispetto alle nostre e che inevitabilmente alletta gli armatori italiani. Chi pensava dunque che con le primavere arabe le cose cambiassero si è dovuto ricredere: dalla caduta di Gheddafi sono stati infatti ufficialmente quattro i sequestri di battelli italiani operati sotto la nuova amministrazione. Un’escalation iniziata lo scorso novembre con il sequestro di due pescherecci mazaresi, fermati e condotti a Misurata, proseguita subito dopo con il sequestro di un’altra nave da pesca siciliana fatta ormeggiare a Tripoli, e con il sequestro, lo scorso 7 giugno, di tre imbarcazioni italiane: un conflitto in ascesa che ha infine raggiunto il suo apice con l’episodio più recente, quello della passata domenica, quando raffiche di mitra hanno obbligato altri due pescherecci di Mazara del Vallo a farsi scortare dalle autorità libiche fino al porto di Bengasi. A bordo 14 membri dell’equipaggio, sia italiani che tunisini, in attesa che le diplomazie dei due paesi permettano rapidamente il loro rimpatrio.
La situazione in Egitto. Notizie altrettanto allarmanti arrivano poi da Alessandria, dove sabato scorso è stato costretto ad attraccare il motopesca “Artemide”, sequestrato lo scorso sabato a 20 miglia dalle coste egiziane, ben 8 miglia in più rispetto a quelle che sanciscono l’estremo limite delle acque territoriali di Il Cairo. Anche in questo caso l’equipaggio (quattro mazaresi e tre tunisini) è in attesa che la vicenda si concluda il più felicemente possibile. Disavventura analoga a quella vissuta il 26 luglio di quest’anno da cinque pescherecci siciliani, sequestrati proprio il giorno in cui il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, concludeva una visita ufficiale nel paese. In quell’occasione il tempestivo impegno della nostra diplomazia riuscì a ottenere il rilascio delle navi nel giro di una giornata.
Fabio Grazzini