Una lunga processione con una penna in mano. Ecco lo scenario di Plaza de la Revolución, nel centro dell’Avana, dove migliaia di persone si sono radunate per firmare una dedica a Fidel Castro sui grandi registri della rivoluzione socialista. Il regime di Castro ha creato un vuoto di leadership nei confronti di uomini che per oltre cinquant’anni sono stati abituati a sentirsi dire cosa fare e cosa no. Vero, Fidel si era ritirato nel 2008, lasciando tutto nelle mani del fratello Raul, ma la sua presenza era un punto di riferimento. I cubani adesso si chiedono quali potranno essere gli sviluppi economici e politici del loro paese. C’è chi pensa che Raul non sia in grado di far fede all’ideale di “socialismo o muerte” del condottiero, e chi invece, come i tassisti o gli albergatori, vede di buon occhio un’apertura al mondo, soprattutto a stelle e strisce.
Ed è intorno agli americani che ruota tutta la questione. Dopo le concessioni di Obama, numerose aziende Usa sono sbarcate sull’isola. Dapprima il gruppo alberghiero Starwood, che ha comprato tre hotel nel centro de L’Avana, poi Airbnb, che ha annunciato il servizio sarà disponibile anche per i non americani. C’era un’intesa di massima sui voli (20 al giorno sulla capitale), i sigari potrebbero tornare nelle tabaccherie statunitensi, e pure gli editori spingono per allargare il mercato all’isola caraibica.
Dal governo americano però frenano. Trump non farà concessioni se prima dal regime non ci saranno cambiamenti in materia politica e religiosa. «Per proseguire le relazioni diplomatiche Trump vorrà vedere movimenti nella giusta direzione da parte del governo de L’avana» il commento di Rience Priesbus, consigliere del Tycon. Questo vuol dire che o Raul Castro modifica la rotta, avvantaggiando le rispettive economie, o saranno revocate anche le decisioni di Obama. La fine dell’embargo appare ancora lontana.