Sono passati cinque mesi dal referendum del 23 giugno scorso con il quale la Gran Bretagna ha votato a favore dell’uscita dall’Unione europea. Ma il governo di Londra non ha ancora definito una strategia efficace per mettere in pratica la volontà popolare. L’esecutivo conservatore appare impreparato di fronte al compito che si trova ad affrontare. È lacerato da profonde divisioni emerse al suo interno e rivelate da un memorandum diffuso dalla stampa di Londra. Da una parte ci sarebbero i tre ministri favorevoli alla Brexit, ovvero quello degli Esteri, Boris Johnson, quello per il commercio estero Liam Fox e quello per la trattativa con Bruxelles, David Davis, che premono per una “hard Brexit”, cioè per l’uscita sia dall’Ue che dal mercato unico. Dall’altra, il ministro del Tesoro Philipp Hammond e quello del business Greg Clark, che premono per una “soft Brexit”, che vedrebbe la Gran Bretagna uscire dall’Unione ma non dal mercato comune. Una posizione, quest’ultima, sulla quale pesa anche l’’influenza di banche e imprese della City. Nel mezzo, il primo ministro Theresa May, che dovrà trovare una difficile mediazione tra le varie posizioni, modificando la sua tendenza a “prendere decisioni da sola”, rivelata dal memorandum.
Alle tensioni interne, si affiancano quelle tra Londra ed i partner europei. L’ultimo scontro, in ordine di tempo, è quello andato in scena a Bruxelles tra lo stesso Johnson ed il ministro per lo Sviluppo Economico italiano Carlo Calenda, nel corso del quale, oltre a discutere sulle esportazioni di Prosecco italiano in Gran Bretagna, l’ex sindaco di Londra avrebbe ribadito di volere il mercato unico ma non la libera circolazione delle persone. Una posizione, quest’ultima, legata soprattutto alla volontà di Londra di ripristinare un controllo sui flussi migratori, tema molto sensibile alla luce degli sbarchi record degli ultimi anni nel vecchio continente, ma che è stata bollata come inaccettabile dal presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem.
Ma qual è la procedura per applicare la Brexit? Londra deve attivare l’articolo 50 del trattato di Lisbona, secondo cui ogni stato membro può decidere di ritirarsi dalla Ue conformemente alle sue norme costituzionali. Se decide di farlo, deve informare il Consiglio europeo e negoziare un accordo, che dovrà essere approvato da una maggioranza qualificata di stati membri ed avere il consenso del parlamento europeo. I negoziatori hanno due anni a disposizione, dalla data in cui viene chiesta l’applicazione dell’articolo 50, per concludere l’accordo. Questo termine può essere ulteriormente esteso. Nel caso della Gran Bretagna, la May ha più volte annunciato di voler avviare la procedura entro marzo 2017.
A rallentare ulteriormente, in questi mesi, l’uscita di Londra dall’Unione, ha contribuito anche la sentenza pronunciata, lo scorso 3 novembre, dall’Alta Corte britannica, con la quale è stato stabilito che il governo, prima di compiere nuovi passi, dovrà consultare il parlamento. L’esecutivo ha annunciato un ricorso alla corte suprema, il tribunale di ultima istanza del paese, che sarà esaminato tra il 7 e l’8 dicembre. Se il verdetto dovesse essergli favorevole, il governo avrà il via libera per attivare l’articolo 50. In caso contrario invece, sarà necessario un voto parlamentare che autorizzi la Brexit. Sembra improbabile che le camere si oppongano alla volontà popolare, ma i deputati contrari all’uscita dall’Europa costringeranno il governo a negoziare tutti i punti dell’accordo.
I promotori del ricorso all’Alta Corte sostengono che sia incostituzionale cambiare la legge britannica senza un atto del parlamento. Un eventuale testo di legge verrebbe esaminato dalla Camera dei Comuni e da quella dei Lord. Sembra invece scongiurato il rischio di elezioni anticipate, smentito da un portavoce del governo e temuto anche dal Partito Laburista, ai minimi storici nei sondaggi. I Labour, tramite i leader Jeremy Corbyn e John McDonnell, hanno escluso una dura lotta parlamentare in caso di richiesta di “hard” Brexit da parte del governo, promettendo però di esercitare una “pressione morale” per avere un accordo migliore. In ogni caso, per avere sviluppi significativi è molto probabile che si debba attendere il 2017.