«Libertà, libertà» è l’urlo dei manifestanti curdi riuniti in Piazza di Santa Croce in Gerusalemme, a Roma. Dopo l’arresto del 4 novembre di più di dieci deputati del partito HDP (Partito Democratico dei Popoli), alzano le bandiere chiedendo che i loro parlamentari vengano liberati. Eletti dal popolo, non sono mai stati riconosciuti dal regime di Erdogan che associa l’HDP al PKK, il partito fuorilegge dei lavoratori del Kurdistan.
Secondo la testimonianza di un’attivista curda che vive in Italia da 12 anni, le torture e le minacce al suo popolo sono intollerabili. Infatti, il governo di Erdogan non solo ha bloccato i social network e la rete internet, ma ha anche impedito manifestazioni simili sul territorio, da Istanbul a Diyarbakir. «Noi vogliamo la pace per i curdi e per il popolo turco» precisa. In Turchia, molti civili restano in effetti vittime dei dettami del regime.
«A febbraio, nel distretto di Cizre l’esercito turco ha chiuso 150 civili curdi in delle cantine e li ha bruciati vivi» racconta. La deputata Feleknas Uca del partito HDP, arrestata negli ultimi giorni, aveva denunciato la questione e la situazione terribile in cui si trova la capitale culturale del Kurdistan. Il suo coraggio diventa il simbolo di tutti i manifestanti, la sua foto un’icona della protesta. I problemi di curdi in Turchia sono nei pensieri di quelli che vivono in Italia: «Siamo un popolo unito».
Alessio Foderi e Marina Lanzone