Dimenticate Michelle Obama. Da gennaio la first lady sarà Melania Trump. Classe 1970, figlia di un venditore di auto e di una sarta, Melanija Knavs è nata a Sevnica, allora Jugoslavia, oggi Slovenia. Erano quasi 200 anni che l’America non aveva una first lady di origine straniera. L’ultima fu Louisa Catherine Johnson, moglie di John Quincy Adams, nel 1825. Ma mentre Catherine proveniva dalla nobile Gran Bretagna, Melania viene dai Balcani, dalla terra dei moderni migranti, che il marito non dimostra di avere particolarmente a cuore.
La sua è una storia da moderna Cenerentola, come tante altre: A sedici anni va via di casa per studiare design a Lubiana, studi che non terminerà perché troppo presa dalla carriera di modella che la porterà prima a Milano e poi a New York. Viene immortalata dai più grandi fotografi di moda, Patrick de Marchelier e Helmut Newton solo per citarne alcuni. Conosce Donald Trump nel 1999, in occasione della Fashion Week e dopo aver ceduto ad un corteggiamento lungo e serrato, Melania lo sposa nel 2005. Un matrimonio faraonico a cui, per ironia della sorte, partecipano anche i coniugi Clinton. Una foto di quel giorno ritrae le due coppie intente a brindare sorridenti, ben lontane dagli insulti e dai colpi bassi della campagna elettorale conclusasi ieri. La coppia ha un figlio nel 2006, Barron William Trump, il più piccolo tra i rampolli del magnate.
Una vita di lussi, aerei privati e dimore da sogno, un contrasto stridente con lo stile sobrio e minimalista degli Obama. Eppure Melania, forse abituata alle durezze balcaniche, le critiche se le fa scivolare addosso con argomenti magari ingenui ma efficaci. A chi la addita come parvenue risponde «Non si può vivere con chi non si ama. Non si può abbracciare un bell’appartamento. Non si bacia un aereo». Rimane impassibile di fronte alle contestazioni sulle sue retribuzioni lavorative in nero da noi peccato veniale, un delitto per gli americani, che all’epoca le avrebbero fruttato 20.000 dollari senza visto lavorativo. Da chi l’accusa di aver copiato di sana pianta il discorso di Michelle Obama, si fa difendere dal marito. Alle dichiarazioni sessiste di Donald, dapprima non batte ciglio, poi controbatte: «Le sue parole mi hanno offesa in quanto donna, ma mi ha fatto le sue scuse ed io le ho accettate».
Una cosa è certa: la neo-first lady sa incassare benissimo i colpi sul ring della campagna elettorale. Dovremmo mettercela tutta per immaginarla in equilibrio su un tacco 12 e con la vanga in mano a dissodare la dura terra dell’orto di Michelle.