Svolta storica per il diritto di famiglia. Ieri la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’automatica attribuzione del cognome paterno quando i genitori intendono fare una scelta diversa.
Per la terza volta in 18 anni, si è tornati a discutere sul tema del doppio cognome. Oggi i tempi sono maturi per eliminare un vincolo che, nel 2006, era già stato definito dalla Corte stessa “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia”.
A proporre di nuovo la questione di costituzionalità è stata la Corte di Appello di Genova a seguito di una causa avviata da una coppia italo-brasiliana, dopo il rifiuto dell’ufficiale di stato civile di apporre al loro figlio anche il cognome della madre. In realtà, il no dell’ufficiale non trova specifico fondamento giuridico, ma è desumibile da alcune norme: un regio decreto del ’39, il codice civile italiano e un decreto del Presidente della Repubblica del 2000.
Determinante per la decisione anche l’influenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Nel gennaio del 2014 la CEDU aveva etichettato l’esclusività del cognome paterno come discriminatoria. A seguito della sentenza il legislatore si era mosso arrivando, nel 2014, alla prima lettura alla Camera del Testo Unico della famiglia, che prevedeva la possibilità di scegliere alternativamente o entrambi i cognomi dei genitori. La legge, tuttavia, si era poi arenata in Senato per contrasti in seno alla maggioranza.
Bisognerà ora attendere il deposito della sentenza, di cui sarà relatore il giudice Giuliano Amato, per conoscere nel dettaglio le motivazioni della Corte. Nell’attesa, la Consulta ha anticipato in via ufficiale la dichiarazione di incostituzionalità legata alla violazione degli articoli 2, 3, 29 e 117 della Costituzione in relazione a principi contenuti in convenzioni e risoluzioni internazionali.