2 ore, 7 minuti, 51 secondi. E’ il tempo che ha impiegato Ghirmay Ghebresiassie per tagliare il traguardo e conquistare la medaglia d’oro nella categoria maschile. Ottimo debutto per l’atleta africano nella città di New York, che ha ospitato ieri, domenica 6 novembre, la quarantesima edizione della maratona, l’evento sportivo più famoso e amato al mondo.
Il record di Ghebresiassie è doppio. Eritreo, classe 1995, si classifica infatti anche come il più giovane vincitore della storia, rubando il titolo ad Alberto Salazar, che vinse a 22 anni nel 1980. Con un affondo decisivo al trentesimo chilometro, il 21enne ha spezzato la catena di vittorie keniote degli ultimi quattro anni. Non si tratta però, dei suoi primi trionfi. L’anno scorso infatti, aveva già messo in fila tutti a Pechino, conquistando l’oro ai Mondiali. Per lui l’agognato riscatto, dopo il modesto quarto posto ottenuto ad agosto sulle strade di Rio de Janeiro.
A completare il podio, dietro di lui, sono arrivati il keniota Lucas Rotich e l’americano Abdi Abdirahman. Il campione uscente Stanley Biwott si è invece ritirato al quindicesimo chilometro per un problema al polpaccio. Per la categoria femminile, Mary Keitany, anche lei keniota, ha vinto per il terzo anno consecutivo, correndo in 2h24’26”. E’ arrivata al traguardo sorridente e leggera, baciando i figli e il marito. E’ un altro record per l’Africa, in quanto è la prima tripletta a New York dai tempi della norvegese Grete Waitz, imbattuta tra il 1982 e 1986. Al secondo posto ancora il Kenya con Joyce Chepkirui, staccata di quasi 4 minuti. Chiude il podio delle donne l’americana Molly Huddle, al debutto nella maratona. C’è poca gloria infine, per l’Italia. Dei 2.800 atleti partecipanti, il risultato migliore è stato quello del 36enne Giovanni Gualdi, che ha chiuso in 2h22’10”.
Non ottiene nessun oro dunque neanche l’America, che nella storia della maratona registra soltanto un vincitore ogni 34 anni. Gli americani infatti sembrerebbero in parte aver abbandonato la gara della City, forse ormai troppo convenzionale, per spingersi oltre. Il nuovo fenomeno si chiama Ultra-Maratona, ovvero corse estreme che mettono alla prova i propri limiti fisici. La più lunga è la Self-Trascendence: 3100 miglia da spendere in un numero esorbitante di giri attorno a un isolato del Queens. Per chi ama percorsi più “avventurosi” esiste poi il tour del Gran Canyon, o quello della Valle della Morte. Insomma, sfide contro sé stessi, contro le nausee, i tremiti e le allucinazioni. Nonostante gli effetti collaterali però, il fenomeno delle gare da oltre 100 miglia sembra essere sempre più in crescita negli Usa. Pete Kostelnick, 29 anni, ad esempio, è diventato un campione, dopo aver percorso 5 mila chilometri di America coast to coast in 42 giorni, 5 ore e 30 minuti.
In certi casi il limite è stato forse superato. In Canada durante una corsa, un uomo è stato persino colpito da un fulmine, ma ha continuato comunque la gara classificandosi terzo. In Colorado invece, Dave Mackey, già campione delle Ultra, rimasto schiacciato da un masso, ha finito per farsi amputare una gamba, ma ha dichiarato di non avere intenzione di smettere. Follia o passione per lo sport? Una cosa è certa: anche quest’anno, nonostante le nuove tendenze in tema di corse e nonostante il clima surriscaldato per la vigilia delle presidenziali, la grande maratona continua ad attirare l’attenzione di oltre 50mila persone.