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Primarie, il Pd si spacca sulle regole. Veltroni: «Il partito rischia la scissione»

di Carlo Di Foggia05 Ottobre 2012
05 Ottobre 2012

L’ultimo segnale d’allarme per Pier Luigi Bersani arriva da un sondaggio commissionato dalla trasmissione Agorà (Rai tre) alla società Swg: se alle primarie andassero a votare almeno quattro milioni di persone, Renzi vincerebbe con il 29 per cento dei voti, tre punti in più del segretario democratico. Scenario ribaltato invece in caso di affluenza più bassa: Bersani sarebbe in testa se alle primarie partecipassero 2,6 o 3,3 milioni di persone, con uno scarto superiore al 4 per cento. 

La sfida è tutta lì, nei numeri. Ma per arrivarci bisogna modificare le regole dello statuto che prevede le primarie nazionali unicamente per la scelta del segretario, che automaticamente diviene il candidato del partito alle elezioni. Domani i delegati convocati in assemblea con tanto di rimborso (pare di 180 euro), dovrebbero approvare le modifiche. Premessa per dare poi a Bersani il mandato di studiare con gli alleati le regole per le consultazioni. Ma intanto il partito si è già spaccato sulle ipotesi trapelate in questi giorni. E se Renzi ieri dal palco di Prato ha aperto all’albo degli elettori e al doppio turno, la chiusura verso la registrazione preventiva è stata netta: «Non soltanto fai la coda per il 25 novembre e ti dichiari elettore, ti iscrivi all’albo, versi il quattrino, dimostri di aver letto la biografia di D’Alema e conosci le ultime tre strofe di bandiera rossa ma la domenica prima devi andare pure a preregistrarti per la domenica dopo». Parole durissime verso lo staff di Bersani e il gruppo dirigente, che ha fatto quadrato intorno al segretario. «Fermatevi prima che una risata vi venga incontro. State sfiorando il ridicolo», ha rincarato in serata il sindaco di Firenze dai microfoni del Tg2.

Il rischio che il partito si spacchi sulle primarie ancor prima di averle fatte sembra sempre più concreto. Lo scontro è violentissimo. Non a caso ieri è toccato a Walter Veltroni mettere in guardia tutti dal rischio di implosione. «Il fatto che non ci si fidi la dice lunga su quanto queste primarie di coalizione senza una base programmatica rischino di fare male al Pd», ammette l’ex segretario, che ieri ha avuto un colloquio con lo stesso Bersani nel tentativo di convincerlo a trovare un’intesa con Renzi che eviti la scissione. Ipotesi che spaventa molti esponenti di primo piano dei democrat ma per niente remota.

Una lista civica nazionale per Renzi – che gira l’Italia con un camper senza simboli del partito – sarebbe già pronta e data tra il 10 e il 15 per cento. Ieri una trentina di parlamentari filo-renziani ha pure firmato un appello per difendere le primarie aperte e – come se non bastasse – altrettanti hanno difeso albo e doppio turno, accusando il sindaco di Firenze di voler spaccare il partito per fare la sua campagna elettorale. Renzi ha sempre sostenuto che accetterà il verdetto delle primarie in caso di sconfitta, a patto che la competizione si svolga secondo le regole e garantisca la più alta affluenza possibile. Ma qui entra in gioco lo scenario peggiore per Bersani, confermato anche dai sondaggi. E a complicare ulteriormente lo scenario, oltre a Vendola, si è aggiunto anche il mezzo sì di Antonio Di Pietro. Un’altra pessima notizia per il segretario.

di Carlo Di Foggia

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