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Minacce ai giornalisti, per l’Index on Censorship l’Italia è seconda in classifica

di Renato Paone28 Ottobre 2015
28 Ottobre 2015

ImmagineL’aggressione all’inviata del Tg1 Flavia Lorenzoni, avvenuta a Ponte di Nona, nel corso di una serie di interviste sul duplice omicidio dei giorni scorsi nella periferia romana, è solo l’ultimo caso dei tanti che accadono, anche quotidianamente, ai giornalisti nostrani. E a dimostrarlo vi sono i dati rilasciati da Index on Censorship, report geolocalizzato sulla tutela della libertà di informazione ed espressione in Europa: per numero di minacce alla libertà di informazione ed espressione, l’Italia è seconda solo alla Turchia, davanti a Ungheria, Francia e Croazia.
Sono ben 38, infatti, i casi registrati di minacce ai giornalisti in Italia, contro i 40 in Turchia, 20 in Ungheria, 18 della Francia e 17 della Croazia. Una triste classifica per gli operatori dell’informazione, sempre più sotto attacco. Ma quel secondo posto rappresenta chiaramente il clima di intimidazione diffuso, sia verso il giornalismo del servizio pubblico che quello delle testate locali. Oltre al recente caso della Lorenzoni, anche quello di Paolo Borrometi, giornalista siciliano già sotto scorta e impegnato nelle inchieste mafiose del ragusano – provincia che sembrava così lontana da certi meccanismi contorti, macchiati dalla criminalità e dalla mafia – che ha ricevuto minacce direttamente sui social network. “Ti acceco con le mie dita. Ho preso la mia decisione, anche se mi arrestano c’è chi viene a cercarti. Tu morirai”. I post arrivano direttamente dal profilo di Venerando Lauretta, già condannato per 416 bis e in attesa di sentenza definitiva. L’uomo inveisce: “Ora vai a denunciarmi, voglio pagarti il reato che commetto su di te – scrive a Paolo Borrometi . “Comunque ti verrò a trovare pure che non vali i soldi del biglietto, sarò dietro la tua porta. Mi viene da ridere pensando il giorno che sei tra le mie mani. Non ti salva neanche Gesù Cristo. Il tuo cuore verrà messo nella padella e dopo me lo mangerò”.
“Io non credo alla stupidità di queste persone– ha commentato Borrometi – Penso che vogliano sfruttare i nuovi mezzi per affiliare la platea. L’intimidazione è alla base della loro forza e del loro potere. Devo ammettere che una minaccia affidata a un social network ha un potere deflagrante”.
Tra i casi più eclatanti, ricordati da Index of Censorship, quello di Gennaro Tedesco, freeelance, giornalista pugliese per Il Fatto del Gargano, più volte intimidito e oggetto di attentati a San Giovanni Rotondo. Lo scorso 12 settembre è stata incendiata la sua auto a pochi metri da casa, atto che si aggiunge ad altri già subiti dallo stesso giornalista a causa di articoli in cui ha denunciato le infiltrazioni criminali a Pietrelcina.
Così come Giacinto Mariani, ex sindaco di Seregno (Monza e Brianza), ha indirizzato maledizioni ed espressioni dal tono minaccioso, come l’augurio di morte fisica, ai citizen journalists di un blog locale d’inchiesta, senza nominarlo esplicitamente, ma in modo da identificarlo chiaramente in Infonodo.org.
Anche Vittorio Buongiorno, caporedattore della sezione di Latina del Messaggero, era stato avvicinato il 10 gennaio dall’imprenditore Gianluca Tuma, a capo di un’organizzazione criminale, che gli  rivolse una frase che dire intimidatoria è dire poco: “Hai visto cosa è accaduto in Francia a chi usa la penna scorrettamente?”. Si riferiva ovviamente all’uccisione dei giornalisti del quotidiano satirico Charlie Ebdo. Il messaggio era chiaro. Buongiorno andò subito a denunciare il fatto in Questura. “Mi considero fortunato – ha dichiarato Buongiorno – perché la mia denuncia non è stata sepolta sotto cumuli di carta, ma tenuta in primo piano. Non capita tutti i giorni”.
Proprio la cronaca ci ha ricordato, in questi giorni, come anche le redazioni di “watchdog journalism” del servizio pubblico continuino ad essere sotto pressione. Dall’aggressione fisica subita del giornalista Giorgio Mottola di Report mentre cercava di fare un’intervista all’AD della Società Italiana Elicotteri, Andrea Pardi, a quella verbale che equipara il diritto di critica al “camorrismo giornalistico”, giunta dal presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, che ha così definito l’attività di informazione di Rai 3.
Se si vanno, però, a raccogliere gli episodi censiti da Index of Censorship, dal maggio 2014 al settembre 2015, l’Italia si piazza terza in classifica, con 109 casi di minacce e censure a giornalisti e intellettuali (vedi il caso Erri de Luca) su diritto di critica e libertà di informazione, preceduta dalla Turchia con 159 casi e dall’Ungheria con 114, distanziando la Serbia (a 83 casi) e la Francia (60 casi).

Renato Paone

 

 

 

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